Come è oramai tradizione da alcuni anni, le monache Agostiniane di Cascia, all’inizio dell’anno pastorale, scrivono una lettera alle famiglie dell’archidiocesi. Quest’anno il tema scelto dalle religiose guidate dalla badessa madre Maria Natalina Todeschini è “Silenzio: bisogno da riscoprire”. Proponiamo una sintesi di tale testo, la cui versione integrale è pubblicata sul sito www. spoletonorcia.it, sezione Pastorale familiare. Ci sono momenti, nella vita, in cui ti senti sprofondare all’improvviso nell’abisso del dolore, allora senti crollare le tue sicurezze, i tuoi falsi appoggi. Tutto perde sapore e ti trovi a fare i conti con quella solitudine che magari fino a quel momento avevi cercato di evitare. E provi paura, disorientamento, non riesci a sopportarla e vorresti continuare a stordirti nella frenesia dei rumori che ti impediscono di pensare. Oggi quante persone fuggono di fronte al dolore, quante fuggono di fronte al silenzio!… Quanti hanno svenduto il proprio pensiero per abbracciare quello che va per la maggiore!… anche tra noi cristiani… ma è proprio così negativo il silenzio, la solitudine, oppure è una dimensione necessaria senza la quale la nostra vita è vissuta solo a metà? Quanti vivono la vita senza lasciarsi provocare e trasformare dalla Parola di Dio. Se il bicchiere è già pieno, come può essere riempito? È necessario prima vuotare il bicchiere, allora sarà in grado di accogliere nuove bevande. Le nostre parole, se non nascono dal silenzio e dall’ascolto, non rischiano di essere vuote per noi e per gli altri? La vita cristiana, anche se è una vita in salita, non può non essere piena di gioia, non può non essere una vita felice. Se nel cuore non abita la gioia, la pace, l’amore, la pazienza, la benevolenza, la fedeltà, il dominio di sé ecc., forse stiamo camminando fuori rotta. Il Signore non sa che farsene delle persone tristi, non vuole certo che la sofferenza tagli le nostre ali, che dovrebbero darci la possibilità di prendere il volo verso di Lui. Vuole che la sofferenza la viviamo da risorti, come ha fatto santa Rita. Vuole che il dolore, che attraversa le nostre esistenze, non schiacci la nostra voglia di vivere, ma sia vissuto senza paura, certi che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio. Se nella mia vita il silenzio non occupa una parte importante, come posso stringere profonde relazioni? Se non imparo ad ascoltarmi, come posso comprendere gli altri che vivono al mio fianco? Si dice che per vivere una perfetta vita comune dobbiamo imparare a stare in piedi da soli. E io come mi costruisco? Senza un profondo ascolto del mio vero io rischio di rimanere in superficie, e di conseguenza di vivere in modo superficiale tutti i rapporti interpersonali, partendo da quelli più intimi con il marito e la moglie, a quelli con i propri figli. Solo se sto bene con me stesso posso essere compagno vero, altrimenti il mio amore sarà possessivo, cercherà e pretenderà dall’altro compensazioni per riempire i propri vuoti. Non posso donare amore se non conosco me stesso, se non mi amo, se non ho imparato a stimarmi nella maniera giusta, se non mi so vedere con gli occhi di Dio. Impariamo ad ascoltare il nostro cuore quando siamo soli: cosa pensiamo, cosa sentiamo? Se non sto bene con me stesso, forse c’è qualcosa che non va, però non devo fuggire, devo affrontare… La solitudine è un peso o è un’opportunità per una ricerca nuova…? Devo fuggirla o devo amarla, custodirla, esserne un po’ “geloso”… incominciare a sentirla essenziale per la mia vita perché sia una vita vissuta in pienezza? Impariamo a fermarci, anche se la vita oggi è diventata tutta una corsa, cerchiamo dentro di noi spazi di silenzio per poter accogliere la presenza di Dio che abita dentro di noi. Il silenzio è la condizione necessaria per poter intravedere nel mio foglio bianco quelle parole che Dio vuole scrivere. Lì è segnata la mia strada, che mi porta alla gioia e alla pace vera. Il silenzio, riempito dall’attenzione al cuore e alla mente, deve anche aiutarmi a rendere le mie decisioni convinzioni sempre più profonde. Con quanta leggerezza decidiamo e torniamo indietro, come canne sbattute dal vento… quanta sofferenza sta creando questa incapacità di essere stabili nelle scelte? Il mondo oggi vuole eliminare il dolore, la fatica, la lotta, vuole togliere all’uomo la capacità di pensare con la propria testa. Ma davvero la nostra vita sarebbe migliore senza il dolore, la fatica? Non è forse attraverso il dolore che riusciamo a capire e vedere cose che prima rimanevano nascoste, e le soddisfazioni più belle e durature non le abbiamo forse provate quando abbiamo dovuto sudare sette camicie? Non è l’istinto che ci rende più umani, ma l’esercizio della nostra libertà e responsabilità, la capacità di scegliere il bene attraverso una sana tensione che ci fa andare sempre oltre, verso un meglio, un di più, anche se mai pienamente raggiungibile.