La visita del 21 novembre scorso del Primate anglicano Rowan Williams a Papa Benedetto XVI, pubblicizzata con la foto dei due capi religiosi, sorridenti e sereni, sulla prima pagina dell’Osservatore Romano e di altri quotidiani, rappresenta la risposta più chiara alle complesse domande poste dalle attuali vicende di quegli anglicani, pochi o tanti che siano (secondo calcoli approssimativi di giornalisti, sarebbero un migliaio tra vescovi, preti, e un totale di 500 mila fedeli), che intendono passare alla Chiesa cattolica, mostrando che non si tratta di una chiusura né tanto meno di uno strappo. L’arcivescovo Williams e Benedetto XVI sono là a dirsi e a dire al mondo che le vicende della Chiesa le governa lo Spirito santo, e poco possono fare le autorità ecclesiastiche, anche quelle supreme. Tanto più che nelle Chiese le autorità non trovano davanti a sé eserciti schierati, ma popoli legati a forti convinzioni e tradizioni; popoli vincolati dalla Parola di Dio alla fedeltà, che può diventare anche resistenza. Le ragioni di una sceltaQuello che sta avvenendo in ambito della Comunione anglicana potrebbe configurarsi come un moto di resistenza contro una deriva secolaristica che va prendendo sempre più piede dentro e fuori l’anglicanesimo. La reazione, che può considerarsi estrema, di rompere i legami con la comunità d’appartenenza, nella quale si è stati battezzati, dovrebbe suonare come un campanello d’allarme per tutti quei gruppi ecclesiali che fanno la rincorsa alla secolarizzazione e spingono per un aggiornamento delle regole ecclesiastiche secondo l’evoluzione dei modelli di vita imposti dall’opinione pubblica dominante; dominata, a sua volta, dai poteri forti del mercato e della comunicazione di massa. Su questi temi Benedetto XVI e Rowan Williams si sono confrontati, ambedue compresi di un difficile ruolo da svolgere: da una parte, di contenimento del processo di riduzionismo e relativismo etico in nome di una coraggiosa fedeltà al Vangelo; dall’altra, di aiuto a superare forme di immobilismo antistorico di gruppi di intransigenti tradizionalisti. Una fede nel crogiolo dei venti del rapido sviluppo culturale e sociale, anziché dividere, deve spingere le Chiese a stringersi tutte al comune centro di salvezza che è Cristo e il suo Vangelo. Tornare al VangeloUn recente volume dell’arcivescovo di Lanciano-Ortona, mons. Carlo Ghidelli, La gioia e il coraggio dell’ecumenismo (Alleanza biblica britannica e forestiera), si apre con il chiaro ammonimento di ricentrare tutto il movimento ecumenico sul Vangelo. Tornare al Vangelo per ricomprendere le ragioni del cammino delle Chiese nella storia, senza perdersi dietro le strade senza uscita di una post-modernità debole e stanca.È del tutto insufficiente e fuori luogo, pertanto, pensare che il “ritorno” di un gruppo di anglicani alla Chiesa di Roma possa significare l’alba di un generale ritorno dei cristiani delle varie Confessioni all’Unità, che sarà raggiunta nei tempi e nei modi che Dio vorrà. Formule immaginate e provvedimenti giuridici approntati già nel passato nella prospettiva unionistica del “ritorno” non sono stati sufficienti a facilitare nuove relazioni d’unità riconciliata. I colloqui dei Gruppi misti di lavoro teologico, bilaterali e multilaterali, hanno messo la coscienza delle Chiese di fronte alla responsabilità di confrontarsi con le verità di fede rivelate, secondo una convergente comprensione interconfessionale. È avvenuto, ad esempio, con la Dichiarazione congiunta sulla giustificazione tra cattolici e luterani, sul matrimonio tra valdesi e cattolici, sul battesimo nel documento di Lima, nelle intese sulla ospitalità eucaristica in ambito protestante con l’accordo detto “Concordia di Leuenberg”.Il documento del PapaTutto questo non toglie l’importanza della costituzione Anglicanorum coetibus, che non è alternativa e in deroga dai principi e dall’esercizio dell’ecumenismo, ma vi si affianca proponendo soluzioni coerenti con i principi cattolici dell’ecumenismo espressi nel decreto Unitatis Redintegratio. L’importante novità della costituzione è l’esplicito riconoscimento che nel passaggio degli anglicani alla Chiesa cattolica è prevista la conservazione delle caratteristiche proprie della tradizione anglicana, che saranno garantite nel previsto “Ordinariato personale per anglicani”, organizzato sul tipo di una diocesi. Sarà raggiunto così il fine della comunione nel rispetto della diversa tradizione. Ciò è stato considerato dal Primate anglicano “una risposta pastorale ingegnosa alle necessità di alcuni, ma non un’innovazione ecclesiologica”. Come a dire, che rimane in piedi l’impianto del dialogo ecumenico in atto tra le Chiese.
Il “ritorno” non cancella il cammino ecumenico
ANGLICANI E CATTOLICI . Il significato della richiesta di numerosi anglicani di aderire alla Chiesa di Roma
AUTORE:
Elio Bromuri