Il vecchio Simeone aveva pronunciato solennemente nel tempio questa profezia su Gesù: “Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori” (Lc 2,34-35). Questo si è verificato molte volte nella vicenda storica di Gesù. Egli è stato molto odiato e molto amato, è stato rifiutato e cercato, perseguitato e seguito. Un vero segno di contraddizione, che ha costretto amici e nemici a uscire allo scoperto, a dichiararsi pro o contro di lui. È un criterio valido per tutti i tempi. Spesso le motivazioni sono razionali, altre volte emotive, altre volte frutto di prevenzione. Davanti a Gesù non si può rimanere indifferenti. Il Vangelo di oggi ci presenta plasticamente questo doppio atteggiamento contraddittorio. Gesù si è decisamente incamminato verso Gerusalemme, nel suo ultimo viaggio che lo porterà alla passione e alla morte.
Luca, imitando lo stile di Giovanni, chiama la futura Pasqua di morte e resurrezione “assunzione”, perché segna il passaggio da questo mondo al Padre. Egli affronta quest’ultimo viaggio con consapevolezza, con decisione e con risolutezza. Per il suo pellegrinaggio sceglie la strada più breve, quella che attraversa la Samaria. Il gruppo abbastanza numeroso dei suoi discepoli non può passare inosservato e necessita di una certa organizzazione logistica. Perciò Gesù manda avanti alcuni messaggeri a preparare gli alloggi per la notte e i rifornimenti di viveri. A questo punto scatta il rifiuto di accoglienza e ospitalità da parte degli abitanti di un villaggio samaritano. Il motivo che traspare dal testo è duplice: prima di tutto c’è l’ostilità ormai inveterata tra giudei e samaritani. Dall’VIII secolo a C. viveva in Samaria una razza ibrida di giudei e pagani, formatasi a causa delle deportazioni di gente straniera da parte degli Assiri.
I giudei perciò non li avevano più riconosciuti come parte del popolo di Dio, li avevano emarginati e disprezzati come bastardi e avevano loro impedito di venire in pellegrinaggio a pregare nel tempio di Gerusalemme. Così nel IV secolo i Samaritani si costruirono un loro tempio autonomo sul monte Garizim e iniziarono ad impedire ai giudei di Galilea di attraversare la loro terra per recarsi a Gerusalemme. In questo divieto è incappata la carovana di Gesù con i suoi discepoli. Ma dietro le quinte appare un altro motivo più teologico: anche i samaritani non accettavano il Messia come lo proponeva Gesù. Non accettavano un Messia troppo umano, debole, votato liberamente alla morte per la salvezza dell’umanità. Dopo questo rifiuto plateale, si scatena la reazione istintiva dei discepoli. Se ne fanno portavoce i due fratelli, Giacomo e Giovanni, che riceveranno forse in questa circostanza il soprannome di “Boanèrghes“(Mc 3,17), che in aramaico significa “figli del tuono” cioè fulmini.
Infatti chiedono fuoco dal cielo contro quel villaggio inospitale che li ha respinti. L’atteggiamento di Gesù è ben diverso, ed è un peccato che i suoi non l’abbiano ancora capito. Egli rimprovera i due focosi fratelli e, secondo una lezione dei codici latini antichi, il rimprovero dovette verosimilmente suonare così: “Voi non sapete di che spirito siete. Poiché il Figlio dell’uomo non è venuto a perdere le anime degli uomini, ma a salvarle”. Nessuna reazione di condanna, dunque: Gesù non è venuto a condannare, ma a salvare, e non si contraddice nemmeno in questa circostanza. Il fatto non diminuisce la stima e l’amore di Gesù verso i samaritani, trattati sempre con rispetto nei Vangeli (basterebbe la parabola del buon samaritano a confermarlo). Accanto al rifiuto dei samaritani, il brano oggi proclamato pone tre esempi di sequela, gente che accetta in toto Gesù e vuole diventare suo discepolo. Il gruppo dei seguaci si amplia e prepara la prossima missione dei discepoli in Galilea.
Il primo candidato si presenta spontaneamente, senza essere invitato da Cristo. In genere l’iniziativa della chiamata spetta a Gesù, che non appare entusiasta di quella offerta spontanea. Perciò cerca di dissuadere il giovane prospettandogli le difficoltà che dovrà affrontare. Gesù non può garantirgli nessuna sicurezza umana, perché egli stesso ha scelto di essere un uomo senza fissa dimora, vagabondo, fragile, sempre esposto e minacciato. Si paragona agli animali più instabili e selvatici come le volpi o gli uccelli. Essi almeno possono far riferimento ad una tana o ad un nido; Gesù non ha recapito fisso. Nessuna illusione per il giovane che deve sapere a che cosa va incontro. Il secondo candidato è scelto dallo stesso Gesù con la solita formula: “Seguimi!”. Questi chiede una dilazione: a casa ha un papà vecchio che ha bisogno di cura e assistenza. Come figlio non se la sente di abbandonarlo prima che egli muoia. Alla sua morte si sentirà libero di seguire Gesù. Del resto egli fa appello al quarto comandamento, che prescrive l’assistenza dei genitori. Gesù non accetta scuse o dilazioni. Nella gerarchia dei valori, la cosa più importante e urgente è l’annuncio del Regno; ad esso bisogna sacrificare anche gli affetti più cari e i doveri umani più urgenti, a costo di rotture penose (Lc 12,51-53; 14,26).
Sono le esigenze severe e ineludibili del Vangelo, che non scende a compromessi. Il terzo chiamato chiede una breve dilazione per accomiatarsi da parenti e amici. Lo esige la convenienza sociale; non si può rompere ogni legame senza spiegare e motivare. Ciò comportava almeno una cena di addio: l’aveva consentito perfino quel severissimo profeta Elia nei confronti del discepolo Eliseo. Gesù è più esigente di Elia, perché ciò che chiede è più alto e più urgente. Il desiderio pur legittimo del giovane nasconde una certa nostalgia e un certo rimpianto per ciò che sta per lasciare, perciò Gesù commenta: “Chi mette mano all’aratro e si volta indietro, non è adatto per il regno di Dio”. La sequela di Cristo richiede una decisione netta e definitiva, senza nostalgie e senza rimpianti. Un contadino non può tracciare dritto il suo solco guardando indietro, deve guardare avanti. Ed è proprio di ogni seguace di Gesù la capacità di guardare avanti. Lo aveva ben capito Paolo: “Dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la meta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù” (Fil 3,13).