Dovettero suonare strani e incomprensibili ai discepoli di Gesù i tre insegnamenti raccolti nel vangelo di oggi. Tradotti in soldoni essi suonano così: Gesù va incontro a un destino certo di morte e di risurrezione, il più grande deve farsi piccolo e servo, il servizio e l’accoglienza cristiana è riservata ai più piccoli e ai più poveri. Un insegnamento paradossale, inaccettabile da chi coltivava idee messianiche di grandezza e di successo. Per quel manipolo di galilei entusiasti al seguito di Gesù, il messia doveva essere un eroe nazionale, a capo della rivolta antimperialista, fondatore di un regno senza pari, sempre vittorioso contro i nemici. Gesù aveva i mano un’arma formidabile per questo scopo: la potenza dei suoi miracoli sbalorditivi. Egli invece prospettava per sé un futuro di uccisione e di morte. È vero che parlava anche di risurrezione, ma nessuno sapeva che cosa volesse dire una cosa così misteriosa.
L’unica reazione dei seguaci era quella di rinchiudersi in se stessi e far finta di non sentire, continuando a coltivare pensieri di grandezza. È difficile per ognuno di noi rinunciare alla proprie idee e alle proprie convinzioni radicate in petto e ascoltare la parola sconvolgente di Dio che ci invita a cambiare modo di pensare di vivere. Proviamo ad ascoltare. Siamo in un momento di svolta nella vita di Gesù: egli ormai ha terminato il suo apostolato in Galilea e si sta avviando lentamente, anche se con continue deviazioni, verso Gerusalemme dove lo attende il suo destino finale. Per strada sta istruendo i suoi discepoli e li sta preparando agli eventi tragici che lo attendono. Dopo l’esperienza luminosa del Tabor (9,2-8), egli attraversa la Galilea, ma non vuole che si sappia: è finita la stagione delle grandi folle, delle prediche pubbliche, dei miracoli strabilianti. È tempo di affrontare gli eventi decisivi della salvezza spirituale che è venuto a portare con la sua morte e risurrezione. Questa è la vera opera che il Padre gli ha affidato. Vuol farlo capire ai discepoli, ma è opera ardua.
Gesù però non si scoraggia, non molla. Continua ad insegnare ai suoi seguaci cose difficile da accettare: “Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno, ma una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà”. Impermeabili a questo discorso, i discepoli nemmeno si domandano chi consegnerà Gesù per essere ucciso. Se lo avessero chiesto, il maestro avrebbe risposto, sconvolgendoli ancora di più, che a consegnare il Cristo alla morte era proprio il Padre. Avrebbero detto, come noi: come può un padre consegnare il figlio amatissimo alla morte? Un progetto così strano e fuori del comune, solo Dio poteva concepirlo e attuarlo. Il perché è sepolto nel mistero di Dio, che lo ha attuato contro ogni aspettativa. Gesù è venuto a compiere quella volontà paterna misteriosa e non si scosta di un millimetro da essa. È il suo cibo, il suo compito, lo scopo ultimo della sua vita. L’ha fatto capire anche a noi quando ci ha insegnato a dire “sia fatta la tua volontà”, nella preghiera che ci ha suggerito.
Lui stesso, nel Getsemani, si è affidato a quella paterna volontà, dicendo con estrema sofferenza: “Abbà! (Padre!), tutto è possibile a te; allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu” (Mc 14,36). Poco dopo, nello svegliare gli apostoli addormentati, ripete ciò che aveva annunciato in Galilea, specificando: “È venuta l’ora: ecco, il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori” (14,41). Quei peccatori che lo catturano sono “i capi dei sacerdoti, gli scribi”, in un parola i membri del Sinedrio. Essi lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani (10,33). Ci rendiamo conto come una prospettiva di questo genere sia risultata incomprensibile ai discepoli. Essi evitano di chiedere spiegazioni e subito rimuovono quel discorso scomodo dal loro animo. Ne è prova il fatto che i loro discorsi, lungo la via, seguono ben altro itinerario. Per portarli allo scoperto, Gesù, una volta giunto in casa di Pietro a Cafarnao, domanda di che cosa stessero parlando per strada. Colti in fallo, tacciono, perché stavano discutendo chi fosse il più grande (pròtos).
Gesù vede chiaro che hanno bisogno di una incisiva lezione di vita, perciò siede alla maniera di un maestro e inizia pacatamente così: “Se uno vuol essere il primo (pròtos), sia l’ultimo (èschatos) di tutti e il servitore (diàkonos) di tutti”. Sono parole pronunciate con calma e serenità, senza polemica, ma sono mannaie che si abbattono inesorabilmente sul nostro orgoglio e colpiscono senza pietà i nervi scoperti della nostra sensibilità. Come si fa a ridursi così, a vivere all’ultimo posto e a farsi servitori di tutti? In una parola, come si fa perdere in questo modo? Ci sentiamo in sintonia con i discepoli, che rimasero allibiti e sconcertati davanti ad un discorso del genere. Eppure questa è l’unica strada possibile per un credente in Gesù Cristo. Ora Gesù indica in che direzione deve andare l’umile servizio dei suoi seguaci. Egli combina insieme per la sua lezione gli strumenti pedagogici classici delle parole e dei gesti significativi: “Preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse: Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me”. Voleva dire che ad avere bisogno di servizio soni i piccoli e i poveri della terra. Il cristiano, che si considera ultimo, deve sentirsi a suo agio con gli ultimi.
Con questo sketch così semplice e intuitivo, Gesù ha stimolato la fantasia dei nostri uffici Caritas e dei nostri centri missionari, ma anche la creatività caritativa di noi tutti. Nascono da qui le opere di assistenza per i poveri e gli ultimi, che hanno sempre in prima fila i bambini, i soggetti più deboli e vulnerabili. Sono nate da qui le adozioni a distanza di bambini e, ora, di intere famiglie povere. Il gesto affettuoso di Gesù, che abbraccia il bambino posto al centro della cerchia dei Dodici, è tutto un programma e ha fatto scuola una volta per sempre. Al cristiano è consentito servire solo con grande amore, con la massima sensibilità e delicatezza, sempre rispettoso della dignità di ogni persona che ha bisogno di accoglienza. Forse dovremmo cambiare qualcosa nella nostra vita.