Il quarto interrogativo

abatjour

La mia critica, a proposito di quella che a me pareva una minimizzazione del mio intervento al Convegno delle Chiese umbre, ad Assisi il 13 marzo, l’avevo impostata in chiave giocosa (“zoiosa”, avrebbe detto Vittorino da Feltre) nei confronti di Maria Rita Valli, mia compaesana, giornalista che brilla davvero come pochi altri nel paesaggio piuttosto… baluginante del giornalismo umbro. Ma una forbice anonima (il Direttore? L’ortolano dell’Arcivescovo?) quella base giocosa l’ha asportata; forse voleva solo potarla; e quello che mi rimane in mano è il troncone tondeggiante… Mettiamo dunque da parte le agudezas. La relazione di Luca Diotallevi, tesa a fare uscire le nostre Chiese da quella letargica situazione che egli aveva icasticamente designato come “devozionismo protetto”, chiedeva alle Chiese umbre di porsi tre interrogativi, quelli fedelmente colti dalla Valli. Io a quei tre interrogativi volevo aggiungerne un quarto, che però aveva ed ha senso solo se prima si recupera la distinzione conciliare fra Chiesa e regno di Dio. Il fine della storia non è la Chiesa, ma il regno di Dio. Nella traiettoria che porta al regno di Dio la Chiesa ha un ruolo indispensabile (extra Ecclesiam nulla salus), ma non ne fa l’obiettivo autoreferenziale del suo impegno storico. Eccolo, il quarto interrogativo: le nostre Chiese umbre hanno assimilato quel senso dell’autonomia delle realtà terrene della quale la Gaudium et spes ha fatto una delle colonne portanti del cattolicesimo del nostro tempo? Cfr. il n. 36, la cui portata viene poi dilatata alla cultura (IV, 56 e 59), alla scienza e all’arte (IV, 36 e 59), alla famiglia (IX 11c, IV 20a, 36a, 41b, 68a, 75h). È rimasta viva e operante nella nostra prassi la convinzione base della Gaudium et spes, che cioè tutto quello che di buono germoglia nella storia fiorisce poi nell’eternità? Anche quando storicamente quel “qualcosa di buono” è nato non solo oltre, ma contro la Chiesa. Come lo Stato democratico, che fieramente avversammo, e oggi sentiamo “nostro”, e lo Stato sociale, che troppo tiepidamente accogliemmo: eppure lo Stato sociale è un vertice assoluto di civiltà. Obama docet. Ebbene, oggi è in forse non solo e non tanto la Stato sociale, che in tempo di vacche magre de more viene rinsecchito a mo’ di stoccafisso, ma lo Stato democratico. Ne vengono messe in forse le regole fondamentali. Vacilla il garantismo secondo il quale i tre Poteri (deliberativo, esecutivo e giudiziario) non solo possono, ma devono controllarsi a vicenda. Quella dei “giudici talebani” può anche essere un battuta. Ma di fatto era scomparsa da quando Mussolini aveva dovuto rimangiarsi la promessa di fare di Montecitorio (“Quest’aula sorda e cieca!) un bivacco per i suo ascari.

AUTORE: a cura di Angelo M. Fanucci