Immagino che pochissimi fra i nostri lettori siano stati toccati dagli scioperi dei tassisti, anche perché le agitazioni e i conseguenti disagi hanno avuto per teatro solo le grandi città. Però può essere utile a tutti sapere come e perché possono nascere certi conflitti, apparentemente misteriosi. Dunque, le cose da sapere sono tre.
Prima: per fare il tassista ci vuole una licenza comunale.
Seconda: in ciascun Comune le licenze sono a numero chiuso.
Terza: di fatto, chi ha la licenza può cederla a pagamento.
Insomma, per un tassista la sua licenza è un capitale; non tanto per il reddito che ne ricava ogni giorno, quanto per il controvalore che incasserà nel momento in cui, a suo piacimento, deciderà di cederla.
Ecco perché i tassisti si oppongono ferocemente a ogni cambiamento che si risolva in una svalutazione, o peggio un azzeramento, di quel capitale: come può succedere se si abolisce il “numero chiuso”, o se si consente a chi ha la licenza di un Comune di operare anche in un altro territorio.
Spiace per i tassisti, ma la loro è una guerra perduta.
L’Unione europea difende la libertà di impresa e la libertà di concorrenza, soprattutto nel settore dei servizi. Non vieta agli Stati nazionali di sottoporre un’attività a requisiti di idoneità tecnica e morale a garanzia degli utenti, ma vieta il numero chiuso così come le limitazioni territoriali e ogni altra forma di protezionismo.
Sono almeno quarant’anni che la questione dei tassisti si trascina tra annunci di liberalizzazione e manifestazioni di resistenza degli interessati. Un problema analogo, anzi identico, ci sarebbe per le farmacie; ma i titolari di farmacia sono più fortunati dei tassisti perché sfruttano il principio che la libertà di concorrenza cede il passo alla tutela della salute dei cittadini, e loro sono riusciti (almeno per ora) a convincere gli organi dell’Unione europea che il numero chiuso delle farmacie serve, appunto, a difendere la salute. Non so quanto resisterà questo argomento; ma i tassisti, purtroppo per loro, non possono spenderlo.
Ma alla fine, come è avvenuto per la globalizzazione, il progresso tecnico travolge tutte le barriere legali, e così andrà a finire anche per i trasporti.