Ho avuto modo di leggere, anche se a volo d’uccello, l’opera di mons. Agostino Marchetto Il Concilio ecumenico Vaticano II – Per la sua corretta ermeneutica, e credo che ormai sia incontestabile che la vera ermeneutica del “Magno Sinodo” sia quella dell’innovazione nella continuità. Marchetto lo ha dimostrato con un impegno da certosino, irto di parentesi, tonde e quadre, di virgolette, di corsivo, di maiuscoletto, di rimandi, di richiami a non finire.
Innovazione nella continuità, bene. Ma il problema era un altro, ed è un altro, perché “innovazione” e “continuità” possono risultare parole vuote se non si scende nel concreto.
Quando Paolo VI, l’8 dicembre 1965, il giorno in cui il Concilio si concludeva, annunciò che nella Chiesa stava fiorendo una nuova primavera, a quali speranze alludeva? E quando lo scoramento si impossessò di lui, al punto da ipotizzare la possibilità che “il fumo di Satana” si fosse insinuato nella sua amatissima Chiesa, a quali tradimenti dello spirito del Concilio accennava? E della primissima promessa che formulò Papa Giovanni un mese prima che la grande assemblea prendesse corpo (“Da oggi in avanti la Chiesa di Cristo sarà la Chiesa di tutti e soprattutto la Chiesa dei poveri”) quanta parte si è avverata?
Io, come tanti altri laici e preti appassionati dell’insostituibile servizio che la Chiesa può rendere al mondo, ho pochi strumenti per rispondere al’insieme di tutte queste domande. Bisognerebbe che ci mettessimo insieme a raffrontare brandelli di verità con altri brandelli di verità.
Personalmente posso solo balbettare qualcosa sul tema della Chiesa dei poveri. Recentemente mons. Bettazzi, l’unico Padre conciliare ancora vivente, ha decifrato con la forza dei suoi splendidi 90 anni quella dichiarazione di Papa Giovanni come un invito e un auspicio a che i poveri, che nella storia sono sempre stati beneficiari esterni dell’impegno ecclesiale, potessero finalmente sentirsi non “oggetto” della carità della Chiesa, ma “soggetto” della Chiesa stessa, parte attiva nella costituzione della sua mentalità e della sua operatività. E il card. Lercaro chiedeva che l’evangelizzazione dei poveri illuminasse la trattazione dei vari argomenti che il Concilio stesso avrebbe trattato; chiedeva che si sottolineasse l’eminente dignità dei poveri in quanto membri privilegiati della Chiesa; che si mettesse in luce la connessione ontologica tra la presenza del Cristo nei poveri e la presenza del Cristo nell’eucaristia e nel servizio ministeriale. S’è verificato tutto questo? No. Si verificherà con Papa Francesco? Quel nome, “Francesco”, Papa Bergoglio l’ha scelto quando, abbracciando un’ultima volta un vecchio cardinale, uno di quelli che lo avevano eletto, questi gli ha sussurrato all’orecchio: “Ricordati dei poveri”.