di Pier Giorgio Lignani
Chi scrive per i giornali subisce la maledizione dei tempi tecnici, quelli che occorrono per stampare il giornale e poi per farlo arrivare ai lettori. Il nostro ultimo numero, datato 1° giugno, era stato scritto il 29 maggio, quando la gestazione del governo Conte era finita malamente, parevano certe le nuove elezioni tra due mesi, e si minacciavano accuse gravissime contro il presidente Mattarella.
Nessuno poteva prevedere che la sera del 31 sarebbe stato firmato il decreto di nomina del Governo e che tutti avrebbero applaudito Mattarella. I nostri lettori si sono quindi trovati fra le mani commenti tragicomicamente smentiti dai fatti; ma almeno questa volta lasciateci dire – con un sorriso – che la colpa non è stata nostra ma dei fatti. Bene, archiviato l’incidente, e lasciati agli sviluppi futuri i giudizi sul governo Conte, che intanto ha avuto la fiducia delle Camere, il commento di oggi può essere questo. Si è avuta ancora una prova di quanto sia preziosa, nel sistema politico-istituzionale italiano, la figura del Presidente della Repubblica.
Secondo la Costituzione, non ha poteri di governo, nessuno dei suoi atti è valido se non ha la controfirma del ministro proponente, viene eletto per un accordo trasversale e non sulla base di un programma politico, resta in carica per un periodo più lungo di una legislatura. Quindi può accadere – e infatti questa volta è accaduto – che cambi del tutto l’indirizzo politico del Parlamento e del Governo, ma il Capo dello Stato sia sempre la stessa persona. Grazie a queste caratteristiche, egli è davvero “al di sopra delle parti” e ciò gli dà l’autorevolezza e l’affidabilità che gli sono necessarie in quei rarissimi momenti in cui esce dall’ombra e il suo ruolo diventa decisivo. Cioè nei momenti di crisi e d’incertezza. Come funziona lo abbiamo visto: il Presidente della Repubblica non impone una soluzione, lascia che a trovarla siano le forze politiche, ma dirige la partita, come un arbitro sul campo di gioco, qualche volta fischia un fallo e qualcuno protesta, ma senza di lui la partita finirebbe in rissa. Al novantesimo dovrà ringraziarlo anche chi quella partita l’avrà persa.