di Stefano De Martis
Sarà che a giugno dell’anno prossimo si voterà per il Parlamento europeo (e finalmente anche i partiti italiani hanno colto in pieno l’importanza di questo appuntamento), senza dimenticare le elezioni in cinque Regioni e quasi 4.000 Comuni. Sarà che ormai, nella politica verticistica e polarizzata di questo nostro tempo, i sondaggi rappresentano stabilmente un surrogato delle consultazioni popolari e alimentano una campagna elettorale permanente. Sarà che le crisi internazionali di varia natura – dalla pandemia all’inflazione, dalla guerra all’approvvigionamento energetico, dal cambiamento climatico alle migrazioni – si rincorrono, si sovrappongono, si inabissano e poi si ripresentano con ritmi parossistici. Sarà che tutte queste situazioni possono costituire un terreno fertile per l’innescarsi di reazioni irrazionali, aggressive o angustamente difensive. Sta di fatto che la tentazione populista si è potentemente riaffacciata nella politica italiana (e non solo, a dire il vero).
Diciamo “tentazione” non perché alcuni effetti di questa dinamica non si siano già concretamente realizzati, ma per la residua speranza che questa deriva possa essere arginata, e che la politica trovi risposte alternative ai fattori destabilizzanti che rendono l’opinione pubblica particolarmente vulnerabile da parte delle seduzioni della demagogia. Per i partiti è una chiamata al senso di responsabilità, che vale in primo luogo per quelli che esprimono il Governo in carica, ovviamente, ma interpella anche quelli all’opposizione, dato che in una democrazia “tutto si tiene”. Peraltro in questa fase sembra che le tensioni più insidiose, in un quadro complessivo che appare fondamentalmente stabile, siano all’interno degli schieramenti e non tra di loro.
Il populismo è un fenomeno molto articolato, ma di sicuro uno dei suoi punti di forza è la paura. Uno stato emotivo potente che può condizionare radicalmente scelte e comportamenti, e si presta a essere efficacemente manipolato per interessi di parte. Sarebbe estremamente importante che le forze politiche rinunciassero a cavalcare i timori e le angosce dei cittadini, additando nemici presunti ed enfatizzando la percezione dei problemi perfino oltre la loro oggettiva consistenza e gravità. Così pure sarebbe fondamentale non indulgere alla scorciatoia propagandistica di far credere che le soluzioni a problemi di grande complessità siano a portata di mano, e che a mancare sia soltanto la volontà politica (degli altri).
Gli esempi di queste semplificazioni ideologiche non mancano. Basti pensare ai progetti di riforma fiscale basati su meccanismi come la flat tax che, oltre a presentare evidenti profili di equità, non sono di fatto compatibili con un sistema di welfare corposo e costoso come il nostro. O a misure come il Superbonus che, dopo aver inizialmente svolto una preziosa funzione di rilancio dell’economia, sono state dilatate fino ad aprire una voragine nei conti pubblici, finendo paradossalmente per premiare i più abbienti.
O ancora, al delicatissimo tema della sicurezza, che può certamente richiedere interventi di maggior rigore, senza tuttavia trasmettere l’illusione che il cuore del problema sia nel codice penale e non nella prevenzione sociale. La politica ha il dovere di prendere sul serio le paure e le incertezze dei cittadini, ma ha il compito di offrire risposte realistiche, eque, razionali, inclusive, ispirate al patto di solidarietà contenuto nella Costituzione. Il populismo va in un’altra direzione.