Il ‘polo’ cattolico, quel terzo incomodo

Politica umbra: continua il dibattito suscitato dalle affermazioni di mons. Chiaretti

L’intervista in cui l’arcivescovo di Perugia – Città della Pieve, mons. Giuseppe Chiaretti, ha parlato di ‘regime’ (pubblicata sul sito web www.chiesainumbria.it) ha suscitato un vivace dibattito sulla stampa locale. Il vescovo aveva affermato che ‘In Umbria siamo da 60 anni in una certa difficoltà: c’è in giro, anche tra i cattolici, una stanchezza determinata da questi decenni di ‘regime’ che ha fatto sorgere una disaffezione verso la politica: c’è invece l’urgenza di un ritorno all’interessamento di un nuovo impegno’. Affermazioni che erano rivolte principalmente ai cattolici la cui assenza dal dibattito politico ha portato, ha spiegato il vescovo in un’altra intervista a La Voce, alla supplenza dei vescovi. Il dibattito che abbiamo registrato, però si è concentrato sul versante politico senza toccare, se non marginalmente la ‘questione cattolica’. Proponiamo alcuni passaggi dei molti interventi registrati. Sulla ‘questione cattolica’ è intervenuto Carlo Liviantoni, vicepresidente della Giunta regionale, che sul Messaggero scrive: ‘Chiaretti ci chiede conto di come abbiamo vissuto la stagione che la cultura liberal-laicista ha definito regime, quale ruolo abbiamo svolto nel tempo in cui il mondo politico cattolico era organizzato attorno alla Dc’. La risposta di Liviantoni è positiva nel senso che elenca passaggi politici e istituzionali nei quali i cattolici (ovvero la Dc) hanno portato nelle scelte i loro valori di riferimento. Ma chiude osservando che ‘Il problema vero sta forse nel trovare un modo, una sede, per conoscere ciò che si fa o che si vuole fare’ un terreno in cui si possa apprendere e comunicare reciproche responsabilità’. Un problema che non ha ancora trovato soluzioni a dieci anni dalla fine della Dc, con un mondo cattolico che si trova ad essere rappresentato sulla scena politico – mediatica quasi esclusivamente dai vescovi, con dei politici cattolici che preferiscono avere la benedizione di questo o quel singolo vescovo snobbando (se non ignorando) il mondo dell’associazionismo cattolico. Altro contributo su questo versante è quello di Luca Diotallevi, sociologo, che sul Corriere dell’Umbria interviene per dire che ‘il regime esiste davvero’ (lo riprendiamo più avanti) e, è la sua analisi impietosa, ‘larga parte del mondo cattolico regionale convive e negozia il proprio sostegno a questo regime. Organizzazioni ecclesiastiche e istituzioni religiose, ma anche non poco ‘laicato’; provvida riserva di indipendenti di sinistra’. Per il sociologo si può parlare di regime come ‘frutto del successo di un progetto elaborato di egemonia, frutto della cultura ademocratica del comunismo italiano’. Un regime non imposto ma ‘confermato ad ogni tornata elettorale’, e si chiede perché questo accada. Raffaele Rossi, storico intellettuale comunista, riconosce a Chiaretti di aver posto un problema che è quello della ‘democrazia e dunque della partecipazione’, e continua, concludendo che ‘nemmeno la Chiesa può illudersi che il riproporre, magari dimenticando il Concilio, vecchie chiusure più o meno integraliste, sia in grado di poter fare a meno dell’ascolto, cioè della democrazia’. Sul versante extra ecclesiale ci sono state le prevedibili adesioni degli esponenti del centrodestra a quanto dichiarato dal vescovo, e se con qualche distinguo sull’uso della parola regime, piena adesione alla sostanza cioè al disagio che il vescovo ha denunciato. Alessandro Campi, opinionista del Giornale dell’Umbria, docente di Storia delle dottrine politiche, non condivide l’uso della parola regime, ma accoglie le parole del vescovo come ‘un segnale di disagio, un invito alla riflessione’ ‘che non coinvolge solo il mondo cattolico … ma la società umbra nel suo complesso’. ‘L’Umbria di oggi è ‘ più propriamente un ‘sistema di potere’: formalmente democratico, ma nei fatti orientato in senso oligarchico ‘ tenuto insieme da un sistema di alleanze politicamente e socialmente trasversali il cui collante risiede nel pragmatismo e nella gestione delle risorse pubbliche per fini di mero potere’ e così via a descrive una situazione ‘che andrebbe analizzata con strumenti e concetti che non siano soltanto inutilmente polemici’ . Per Campi ‘le espressioni del dissenso sociale dovrebbero meglio collaborare tra loro e cercare di rendersi maggiormente visibili ‘ sino ad attivare un circuito virtuoso di discussione pubblica e di confronto quale l’Umbria non ha mai conosciuto’. Non entra nella questione ‘regime sì regime no’ il segretario generale della Cisl Pierluigi Bruschi, per il quale la disaffezione dalla politica non riguarda solo i cattolici perché ‘in Umbria il fenomeno è più evidente anche a causa di un sistema politico chiuso e bloccato che nel corso degli anni ha consentito di concentrare nelle mani di pochi le scelte più importanti vanificando così la partecipazione alle decisioni’ e si dice preoccupato ‘per l’eccessiva invasività del sistema politico istituzionale umbro nella società civile, nonché del carattere troppo centralistico delle politiche regionali che tendono ad escludere e a scoraggiare la partecipazione della parte più viva e dinamica della società regionale’. Roberto Segatori, sociologo, opinionista del Corriere dell’Umbria, non si sbilancia più di tanto ma commenta il fatto parlando di ‘tre Chiese’: ‘la prima chiesa è la Massoneria’, contro la quale, e lasciandoci le penne, si mosse il vescovo Pagani; ‘la seconda Chiesa perugina è quella comunista’ che per il gioco delle alleanze politiche ha sempre tenuto tutto (le poltrone che contano) sotto controllo. La terza chiesa è quella cattolica, quella del vescovo ‘che i furbi additano come un novello Don Chisciotte’. La conclusione di Segatori è che ‘Più semplicemente in Umbria c’è un clima di ‘libertà vigilata’. Chi governa disprezza i valori del liberalismo. Dell’autonomia delle parti sociali, del pluralismo delle opinioni. Vuol tenere tutto sotto scopa’. Per commentare la fase che sta vivendo l’Università, con il problema del terzo mandato del rettore, gli economisti Bruno Bracalente (ex presidente di regione) e Giuseppe Calzoni (ex rettore), sul Corriere dell’Umbria, partono dalla questione posta dal vescovo: ‘una riflessione che chiama in causa la qualità della democrazia e del potere nella nostra regione’. Parlano di ‘faticoso funzionamento delle regole’, di trasversalità, di potere politico concentrato nei vertici, di strutture democratiche sclerotizzate che diventano oligarchiche, per giungere alla questione di un ‘sistema storicamente non fluido, per usare un eufemismo, nel ricambio delle classi dirigenti (non solo politiche). Nega che si possa parlare di regime Giampiero Rasimelli che rimpiange la critica di Pagani all”egemonia’ comunista. ‘Ciò che mi preoccupa di più è avvertire il rischio di un ritorno al ‘noi’ e al ‘voi’ nell’identificare il rapporto tra i cattolici e la sinistra che governa’ perchè molti cattolici sono e votano a sinistra. ‘Meglio sarebbe se la sollecitazione di mons Chiaretti si rivolgesse ad un tema sollevato ‘ e cioè quanto sia viva oggi la propulsività del modello storico delle cosiddette regioni rosse’. Fabrizio Bracco, segretario regionale dei Ds, rifiuta la definizione di regime e l’accusa di esclusione e discriminazione dei cattolici. Prima fa un elenco dei temi che ‘avvicinano il messaggio cristiano di questo secolo alle tensioni e aspirazioni ideali delle forze della sinistra’ (uguaglianza, giustizia, diritti della persona, laicità) poi ricorda che da sempre si sono tenute elezioni libere e che da sempre ‘le forze della sinistra hanno tra i loro aderenti simpatizzanti ed elettori molti cattolici e cittadini di ispirazione cristiana che hanno vissuto l’adesione a questa prospettiva politica come coerente con i valori religiosi che li ispirano’. Alberto Stramaccioni, deputato Ds, protagonista di quel dibattito con Galli della Loggia nel 2003 dal quale il vescovo ha mutuato l’espressione di regime, sul Messaggero ribadisce quello che disse già allora: la situazione è più complessa di quanto possa far pensare la parola regime poiché vi è una realtà che ‘finisce con il ridurre e delegittimare gli spazi stessi della politica e il ruolo delle istituzioni democratico -rappresentative. Si tratta infatti di oligarchie trasversali, non sottoponibili ad alcuna verifica democratica o elettorale costituite da quei ruoli di comando, in alcuni casi da decenni, che si identificano con i vertici delle associazioni imprenditoriali, delle forze sociali, degli istituti finanziari, delle strutture burocratico – manageriali della pubblica amministrazione, degli uffici periferici dello Stato, degli assetti universitari e formativi’. Conclude rivolgendosi direttamente a Chiaretti: ‘Persiste, caro Vescovo, un certo sistema di potere oligarchico che ‘ condiziona le scelte possibili e autonome sia del centrosinistra che del centrodestra’ e credo che potrebbe essere motivo di impegno anche per un cattolico mobilitarsi affinché la politica operi sempre più in modo trasparente e specialmente nell’interesse generale di una comunità, non solo nell’interesse particolare o di qualcuno’.

AUTORE: Maria Rita Valli