Martedì 27 la Camera dei deputati ha approvato a larghissima maggioranza il “piano di ricostruzione” varato dal Governo. È il documento necessario per poter incassare, un po’ per volta, il mega-finanziamento promesso dall’Europa: 222 miliardi di euro, e qualcosa in più. Un’occasione quasi unica nella storia (c’è il precedente degli aiuti americani per la ricostruzione dopo la Seconda guerra mondiale). Non è un regalo, si capisce. Dovranno essere restituiti, prima o poi. E dovranno essere spesi con criterio affinché portino effetti permanenti, che naturalmente non ci sarebbero se quei soldi ce li mangiassimo tutti o – per dirla in termini più tecnici li destinassimo a sostenere i consumi invece che gli investimenti.
Ma anche fra gli investimenti c’è da distinguere. Quelli fatti per creare infrastrutture per i trasporti e le comunicazioni – come un’autostrada o una linea ferroviaria – possono avere ottimi effetti, anche duraturi. Esistono però casi drammatici di infrastrutture molto costose di cui non si serve nessuno o quasi. Per non parlare di grandi iniziative industriali, come l’acciaieria di Taranto, creata dallo Stato con denaro pubblico, perfetta dal punto di vista industriale (almeno in origine), ma micidiale dal punto di vista ambientale a causa di scelte progettuali sbagliate; e così trasformatasi in un problema senza fine. Il che dimostra quanto sia difficile e rischioso fare grandi progetti sulla carta.
Tornando al “piano di ricostruzione” di oggi, c’è ancora da dire che le difficoltà, e l’impegno dell’Italia verso l’Europa, non stanno solo nel come spendere i soldi del fondo straordinario. La sfida non consiste solo nel rimediare ai danni provocati dal Covid e dal lockdown, per riprendere il cammino da dove eravamo all’alba del 2020. Infatti l’Italia era messa male già allora: enorme debito pubblico, crescita economica ridotta allo zero, inefficienza della pubblica amministrazione, e tanto altro.
Proprio per questo nel megafinanziamento europeo la fetta più grossa è stata destinata all’Italia: perché affronti e risolva i suoi vizi storici. Tutt’altro che facile, ma, se non ci si prova ora, non ci si riuscirà mai più.