Due espressioni augurali il Papa ha rivolto ai vescovi italiani per l’intera nazione: “Conosco e condivido la grande sollecitudine con la quale seguite il cammino della società italiana preoccupati soprattutto di favorire la coesione interna della nazione”. Con l’altra espressione Giovanni Paolo II afferma che “L’Italia ha bisogno di una crescita di fiducia e di iniziativa per poter offrire a tutti prospettive migliori e più incoraggianti”. Sono solo gli ultimi due appelli, che si collegano con quanto il Papa ha detto in occasioni e documenti solenni degli anni passati e soprattutto con il discorso rivolto al Parlamento italiano riunito in seduta congiunta il 14 novembre dello scorso anno. Questo Papa polacco mostra un grande affetto all’Italia, forse come nessun altro Papa italiano abbia mostrato. C’è forse anche un motivo inconscio che spinge lo straniero a mostrarsi legato alla sede romana e alla nazione di cui Roma è capitale e spinge l’italiano a mostrarsi veramente padre universale non chiuso entro confini nazionali. Ma a parte Freud, dal Papa e dai vescovi, possiamo dire dalla Chiesa nel suo insieme si deve trarre la evidente conclusione che essa, la Chiesa intera, ama l’Italia e si preoccupa della sua crescita umana e sociale, del suo benessere reale e della sua pace interna. Sono caduti i pericoli del nazionalismo e le riserve del temporalismo, per cui tra la Chiesa e la Nazione non intercorrono relazioni equivoche o strumentali, almeno da parte dei vescovi e del Papa interessati al bene della società con particolare cura delle fasce più emarginate: poveri, malati, disabili, drogati, carcerati, anziani. Se andiamo a osservare le iniziative sostenute da persone e gruppi cattolici troviamo un ventaglio talmente ampio e vario che è impossibile elencare e, com’è logico, travalica i confini della nazione. Mi sembra che un simile esempio dovrebbe venire anche da coloro che, invece, a mio avviso, non fanno l’interesse della società e della popolazione secondo una visione generale e una gerarchia di scelte, ma preferiscono legare le loro lotte e impegnare le risorse a favore di una parte o di un’altra fino al punto di scomunicarsi e delegittimarsi a vicenda. E’ quanto avviene tra un polo e l’altro, tra politica e magistratura, tra un sindacato e un altro, tra enti locali e Stato centrale e così via. Non si arriva alla guerra civile, ma non si collabora, non si cerca insieme la soluzione migliore ai problemi. Si preferiscono lazzi, frizzi, barzellette, ammiccamenti minacce, accuse dispetti e atti vandalici. Nell’elenco ci sono cose di sinistra e cose di destra. Non ci sono cose di mezzo, perché quelli che stanno in mezzo in questo tempo devono solo mettersi il casco per non prendere colpi dall’una e dall’altra parte. Sembra talvolta che sia impedita la cittadinanza al buon senso e al buon gusto. C’è bisogno di coesione, come dice il Papa per ritrovare anche il giusto equilibrio tra le diverse posizioni che sempre ci saranno e che liberamente ognuno può manifestare e c’è bisogno anche di rispetto per le persone che possono sempre sbagliare ma che non possono dirsi ladri o comunisti o fascisti a cuor leggero. E ci si consenta anche di dire che chi ha maggiore responsabilità pubblica dovrebbe avere anche maggiore responsabilità morale e prudenza verbale. Mi riferisco ai leader politici e sindacali. Se non cambia questo clima sarà difficile portare a termine qualsiasi programma di sviluppo, già messo a repentaglio dalla situazione internazionale. A meno che da una parte qualcuno non pensi di nuovo, come in anni ormai lontani, al “tanto peggio tanto meglio” e dall’altra parte di poter fare tutto da solo, come un deus ex machina.
Il Papa agli italiani: “Coesione e fiducia”
AUTORE:
Elio Bromuri