Il Museo ebraico di Roma, creato negli anni Sessanta, custodisce la memoria storica della comunità ebraica della città ed è ospitato nel complesso monumentale della sinagoga. Qui è possibile ammirare il famoso e splendido candelabro a sette bracci descritto nella Bibbia, a testimonianza dei rapporti tra Roma e Gerusalemme. Questo arredo sacro, con la distruzione del Tempio a opera di Tito nel 70 d.C., fu portato a Roma ed esposto nel Tempio della pace; successivamente è ritornato ai legittimi eredi. Questo istituto culturale, vivo e vitale, ha fatto recentemente parlare di sé in occasione della visita di Benedetto XVI ai “fratelli maggiori”, presentando la mostra “Et ecce gaudium”. Si tratta di una originalissima esposizione di 14 disegni preparati dagli ebrei romani nel ’700 per l’incoronazione dei Sommi Pontefici. Infatti gli ebrei romani, benché nel ’500 avessero perso i diritti civili e fossero costretti a vivere nel ghetto, continuavano comunque a partecipare alla cerimonia d’insediamento dei Pontefici perché considerati cittadini romani presenti nella città, e perciò chiamati a decorare un tratto di strada che era attraversata dal nuovo Pontefice con scritte bibliche. Questa mostra, inaugurata per la visita di Benedetto XVI, molto opportunamente ha ricordato gli antichi rapporti tra ebrei e papato. Sono passati 24 anni da quando Giovanni Paolo II, primo pontefice romano, con un gesto dirompente volle incontrare i fratelli ebrei recandosi in visita nella loro sinagoga. Egli compì un gesto chiaro, in linea con gli indirizzi del Concilio Vaticano II, e volto a realizzare l’auspicato cammino di dialogo, fraternità e amicizia. Anche la recente visita di Benedetto XVI ha voluto sottolineare l’irrevocabile cammino di dialogo e di fraternità, di vicinanza e di affetto verso il popolo dell’Alleanza. In questi giorni, proprio mentre si vivevano questi eventi carichi di ricordi e di emozioni, ci è giunta notizia che nella verde Umbria, a Casigliano di Todi, una amena località tra Acquasparta, Collevalenza e Todi, vive Anna Ascarelli, di antichissima famiglia ebraica sefardita: una simpaticissima signora, già direttrice del Museo ebraico di Roma. Abbiamo chiesto d’incontrarla e ci ha accolti con viva cordialità. Le abbiamo chiesto di parlarci del suo Museo, che ricorda con nostalgia per la qualità degli incontri ma sopratutto quelli con i docenti e con i giovani studenti di tutto il mondo. “Erano visite – ci ha detto – a carattere culturale, storico, religioso, per conoscere e approfondire. Incontravo giovani e professori, ebrei che venivano a Roma da tutto il mondo e anche provenienti da scuole e da università cattoliche come quella dei padri Verbiti o dalla Gregoriana dei Gesuiti; visitavano il Museo per informarsi, per avere uno scambio efficace di relazioni culturali, ben sapendo che gli ebrei erano dappertutto, dalle Americhe all’Europa, dall’Africa all’Asia, dall’India alla Cina”. “Spesso – ha poi detto la signora Ascarelli – mi chiedono come ho vissuto il periodo dell’occupazione tedesca. Ebbene, devo dire che a quel tempo ero una ragazzina e con le mie quattro sorelle e i genitori non siamo incorsi in rastrellamenti e/o deportazione verso campi di concentramento o di lavoro nazista. Abbiamo peregrinato a Roma da un convento all’altro, da un rifugio all’altro e presso amici, e regalando le ultime risorse di cui disponevamo ad un gruppo di SS italiane per riscattare nostro padre e nasconderlo presso un suo ex autista. Noi ragazze nell’aprile del 1944, con l’arrivo degli americani, lasciammo il convento delle suore di piazzale delle Muse dove eravamo nascoste”. L’intervista si conclude qui. Abbiamo ringraziato la signora Ascarelli per la cordiale accoglienza, ripromettendoci di rincontrarla in un prossimo futuro.
Il Museo della memoria
A colloquio con la ex direttrice del Museo ebraico di Roma, che oggi vive a Casigliano di Todi
AUTORE:
Antonio Colasanto