Riprende il Vangelo da dove l’abbiamo lasciato domenica scorsa. Dopo la miracolosa moltiplicazione dei pani e dei pesci, non può non crescere la domanda sull’interpretazione di quel gesto e sulla persona di Gesù. “Non dirlo a nessuno” (cfr. Mc 7,36). Pietro pronuncia la sua professione di fede. Ma perché Gesù non vuole che si parli di lui come del Cristo? Ritorna qui molto chiaramente la questione del segreto messianico. Con questa categoria si intende la prospettiva con cui soprattutto Marco tratteggia la personalità profonda di Gesù di Nazareth. Egli sin dall’inizio cerca di non far trapelare che è il Messia. Già dal primo miracolo impone di non raccontare quanto è accaduto. Lo stesso schema si ritrova anche nei vangeli scritti più tardi, Luca e Matteo, e che riprendono la traccia marciana. La questione del segreto raggiunge il culmine, nei tre vangeli sinottici, proprio quando Pietro riconosce in Gesù il Messia, “il Cristo di Dio” (Lc 9,20).
Qui avviene qualcosa di particolare: Gesù annuncia la sua prossima morte. L’annuncio della passione. Anche in questa situazione Gesù – si vede nel vangelo di oggi – impone il silenzio su quanto Pietro ha appena confessato: “Egli allora ordinò loro severamente di non riferirlo a nessuno” (Lc 9,21). Subito dopo, corregge le parole di Pietro. Sì, è il Messia, ma manca qualcosa a questa definizione: il destino di sofferenza a cui sarà sottoposto. “Gesù intendeva la propria messianicità in termini assai diversi da quelli delle comuni e prevalenti aspettative contemporanee; dato che queste non comprendevano nel destino del Messia alcuna umiliazione, è chiarissimo che Gesù, andando controcorrente, non si ritiene esattamente definito da questa categoria. Ed è sintomatico che l’analoga confessione di Pietro nel quarto vangelo venga resa in modo diverso: egli confessa Gesù non come Messia, ma in maniera più sfumata come il Santo di Dio (Gv 6,69)” (R. Penna, I ritratti originali di Gesù il Cristo, I).
Insomma, Gesù vuole rivelarsi non tanto nei suoi prodigi, nei suoi miracoli, nelle sue parole, quanto piuttosto nella parola della croce, attraverso la quale anche il resto, il suo essere Messia, verrà illuminato. Ma c’è anche qualcos’altro. Il Cristo di Dio. All’interrogazione di Gesù Pietro risponde: “Il Cristo di Dio” (Lc 9,20). Il vangelo più antico, quello di Marco, registra una risposta più breve: “Tu sei il Cristo” (Mc 8,29). Matteo amplia ulteriormente anche rispetto a Luca: “Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente” (Mt 16,16). Gli studiosi ritengono che la formulazione di Matteo sia “opera della redazione matteana, con cui si esprime la professione di fede che possiamo supporre come decisiva per le comunità matteane” (Penna).
In altre parole: le parole di Marco (“Tu sei il Cristo”) sono probabilmente quelle più storiche, e Matteo è intervenuto commentando. Ma – per tornare alla questione della messianicità di Gesù – cosa intendeva dire Pietro? La sua confessione – che a noi, con una lettura imprecisa o, peggio, anacronistica, può risultare carica di significati che non ha – è centrata sull’affermazione della messianicità di Gesù. Ma nel giudaismo del primo secolo il Messia non aveva alcuna connotazione divina: questo non sarebbe, tra l’altro, stato possibile per il monoteismo ebraico. Se re, o sacerdote, o profeta, o quant’altro, doveva comunque essere un uomo. Si capisce allora che la risposta di Pietro non dice tutto di Gesù. Servirà la sua risurrezione e poi la riflessione successiva per svelare fino in fondo che Gesù è Dio; in particolare, bisognerà aspettare il Quarto vangelo per vedere affermato “a chiare lettere, come mai nella precedente tradizione cristiana, la divinità di Gesù nella sua unità di natura con il Dio d’Israele”(Penna).
Il Messia nascosto. Un’ulteriore sottolineatura viene da Paolo Sacchi, che in Gesù e la sua gente (San Paolo, 2003) spiega come nelle idee che circolavano al tempo di Gesù il fatto dell’essere nascosto aveva un qualche altro significato. Nella tradizione biblica, ad esempio, anche Davide fu unto re molto prima che si rivelasse come tale. E nel primo secolo d.C. vi era pure una figura misteriosa, quella di Enoc o del Figlio dell’Uomo, interpretato in senso messianico, che avrebbe rivelato ai giusti la Sapienza di Dio, divenendo poi, alla fine della storia, giudice universale. “Gesù non aveva affatto la volontà di restare nascosto: aveva già detto (Mc 1,38) che annunciare era la sua missione, per cui era venuto. Ma, come David fu unto prima che la sua unzione si rivelasse; come il misterioso Figlio dell’Uomo è nascosto in attesa di compiere la sua opera di giudice universale; come la Sapienza è nascosta e si rivela lentamente nella storia, così anche Gesù è per ora il nascosto, perché la sua funzione sarà chiara solo alla fine della sua opera” (Sacchi).