Negli ultimi capitoli del Vangelo di Giovanni Gesù, con le parole e con i fatti, dona l’inedita novità dell’amore che ha portato agli uomini con la sua venuta, generando un nuovo rapporto e un nuovo legame tra l’uomo e Dio, e tra gli uomini. Oggi il Vangelo di Marco narra della dipartita di Gesù dai suoi, ai quali trasmette la sua stessa missione. È una pagina ricchissima. Fa subito impressione la descrizione della nuova condizione dei discepoli a cui Gesù affida l’umanità destinataria del suo annuncio e della sua salvezza. Tutto ciò che è avvenuto dalla sera dell’Ultima Cena a dopo la Risurrezione ha radicalmente trasformato i suoi seguaci in “uomini nuovi” e il loro rapporto di relazione fraterna, il cui legame ha la stessa natura di quello che c’è tra Gesù e il Padre.
È a questa realtà nuova nata dal Crocifisso-Risorto che dobbiamo guardare per comprendere la portata delle parole dell’evangelista Marco. L’Ascensione segna, al contempo, la fine di una relazione nella visibilità e l’inizio di una vicinanza in altro modo, nell’attesa del giorno – noto a Dio – di un nuovo “a Tu per tu”, dissolta la nube della separazione (At 1,9-11). Distanza che, se è assenza e lontananza dagli occhi, non significa lontananza dal cuore, né assenza di quel Gesù risorto che tanta gioia, pace e speranza ha infuso nei suoi con le manifestazioni dopo la risurrezione. L’Asceso in “alto” è, sia pure in termini inenarrabili e inimmaginabili ma reali, il Disceso nel loro “profondo” per farli ascendere a un esistere qualitativamente alto, nell’ agape e nella missione. La salita dell’unico Gesù “nel cielo, da dove era venuto”, coincide con la dispersione dei suoi per l’intera terra abitata, a cominciare da Gerusalemme. Inizia così l’edificazione della Chiesa come porzione di umanità chiamata al compito di rendere presente i frutti del Mistero pasquale, per sottrarre l’Uomo – in forza della Parola, dell’eucarestia e dell’amore al fratello – alla vita insensata, segnata dalla morte e dal peccato.
L’Asceso al Padre pertanto continua a farsi carico della sorte umana. Ma come? Attraverso la cerchia dei suoi amici: “Andate!”. “Uscite!”, per dirla con Papa Francesco. Ora è il tempo di costruire relazioni e rapporti a partire dal “sogno di Dio” che è la Chiesa, come cuore dell’intera famiglia umana, comunità di fratelli e sorelle radunati nella tenerezza e nella franchezza del Vangelo.
Marco nel suo racconto dell’Ascensione cita una serie di conseguenze per chi testimonia il Vangelo annunciando la nuova vita che dona il Risorto. Conseguenze del Suo agire nei discepoli. Viene spontaneo allora guardare a questi segni, che accadano ancora oggi a confermare l’annuncio del Vangelo da parte di chi lo testimonia. Il male non ha più presa sulla vita di coloro che aderiscono al Vangelo e sperimentano la Sua presenza e, partecipando alla vita della comunità, cacciano il male dalla loro vita. Così parlano la stessa lingua, la lingua dell’amore. Per la comunione generata dall’amore reciproco, ci si riconosce e ci si comprende come se ci conoscessimo da sempre. Impariamo a tenerci lontani dalle tante cose che avvelenano la convivenza umana, come le “chiacchiere” che rovinano la relazione. Chi vive alla presenza di Dio sa superare questo atteggiamento, non viene molestato da questo veleno mortifero. Anche la sensibilità cambia, e nasce una attenzione speciale verso le persone escluse e marginalizzate, soprattutto verso i malati, “guariti” da una presenza accogliente e amorevole.
Non ci saranno pericoli per chi vive con Lui presente. Nessuna avversità, per quanto dura, potrà rompere il legame con il Risorto e togliere ai suoi la Sua pace. Nessun elemento che sia conseguenza del male, della fragilità, dei limiti che pure rimangono dentro la condizione umana, sarà lesivo di quella vita “soprannaturale” a cui li tiene ancorati il dinamismo pasquale vissuto. Allora possiamo tornare in casa, per strada, in città, e non fuggire la disperante banalità dell’oggi, perché è lì che Gesù sceglie di abitare: nell’oggi, nella mia famiglia, nel delirio confuso della mia città. Cerchiamo Dio nella gloria del tempio che è l’uomo, tempio del Dio vivente, senza fughe a “guardare le nuvole”, perché il Crocifisso-Risorto è nel volto povero e teso del fratello che incrocio, e soprattutto nel volto di coloro con cui vivo.