Nell’attuale realtà sociale la famiglia è attraversata da profonde difficoltà; essa rimane tuttavia il luogo di cura per eccellenza, chiamato a rapportarsi in prima persona con il malato, con la sua sofferenza e il suo percorso esistenziale di consapevolezza all’interno della malattia stessa’. Per questo ‘bisogna cominciare a pensare ad una sanità a misura di famiglia’ e a ‘nuove sinergie tra famiglia e personale curante’. Lo ha detto don Andrea Manto, direttore dell’Ufficio nazionale Cei per la pastorale della sanità, a margine dell’incontro tenutosi il 30 gennaio al Policlinico Agostino Gemelli nell’ambito dei ‘Mercoledì dell’Università Cattolica’. Promosso nell’imminenza della XVI Giornata mondiale del malato che si celebrerà l’11 febbraio, data della prima apparizione della Madonna a Lourdes, di cui quest’anno ricorre il 150’anniversario, l’incontro ha preso lo spunto dal tema di riflessione scelto dalla Chiesa italiana: ‘La famiglia nella realtà della malattia’. Crocevia tra pubblico e privato. ‘Negli ultimi decenni la struttura della famiglia è radicalmente cambiata – ha affermato don Manto -. Decenni di mentalità culturali e discutibili scelte politico-giuridiche l’hanno indebolita e impoverita. Tuttavia bisogna sottolineare che, nonostante le sue fragilità, essa rimane un imprescindibile riferimento affettivo per il malato e, in caso di impossibilità di quest’ultimo a comunicare, è spesso la famiglia l’unico interlocutore dei sanitari’. La famiglia, inoltre, è ‘inestimabile patrimonio di risorse e naturale crocevia tra pubblico e privato in grado di garantire, al tempo stesso, qualità e sostenibilità della cura’. Di qui, per don Manto, medico geriatra che ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale nel 2001 dopo diversi anni di professione, ‘l’urgenza di una sanità che promuova la famiglia’. Più in generale, insiste Manto, ‘le istituzioni dovrebbero valorizzare sempre più non un Terzo settore generico, bensì un Terzo settore basato su criteri familiari e su una corretta antropologia. Il mio – precisa – è un richiamo alle istituzioni di cura e a quelle che governano la società; ma è un richiamo anche alle famiglie, affinché acquisiscano una nuova consapevolezza di sé’. La presenza femminile. Centrale il ruolo della donna: per il direttore dell’Ufficio Cei, ‘la sanità deve anche essere ripensata al femminile’. Richiamando il ruolo materno e ‘il genio della donna, la sua sensibilità e capacità di accogliere e curare’, don Manto auspica una ‘maggiore valorizzazione del ruolo e della presenza femminile nell’ambiente medico e ospedaliero’ al fine di ‘passare dalla cultura del take cure a quella del take care’. Ma ciò presuppone ‘una corretta visione antropologica dell’uomo’ e una ‘cultura di umanizzazione della sofferenza’. Oggi, invece, ‘se da un lato l’introduzione dell’aziendalizzazione in sanità ha consentito di ridurre alcune inefficienze, il mondo sanitario sembra spesso dimenticare che ogni evento, anche la malattia, si svolge all’interno di un contesto di relazioni e di condivisione’. Una ‘dimenticanza’ che non deve stupire: ‘L’odierno individualismo porta ad un progetto autonomo di autorealizzazione e di salvezza. Esso però, in caso di malattia, finisce per rivelare tutta la sua inconsistenza e insignificanza, rendendo così più acuto il dramma dell’uomo contemporaneo, solo di fronte al dolore’. I tre compiti. ‘Nella Spe salvi – sono ancora parole del sacerdote – il Papa rammenta che la misura dell’umanità si determina soprattutto nel rapporto con la sofferenza e con i sofferenti’; per don Manto ‘è proprio la famiglia, primo punto di riferimento del malato, il luogo attraverso cui può passare in senso più ampio l’umanizzazione di tutta la società’. Nondimeno, la dura prova della malattia può ‘costituire un carico troppo pesante per le famiglie, chiamate a costruire a fatica nuovi equilibri’. Ecco perché, osserva il sacerdote, diventa importante ‘il sostegno, l’appoggio e l’accompagnamento della comunità cristiana’ e, al tempo stesso, ‘la promozione di una pastorale integrata, sulla linea di quanto emerso al Convegno ecclesiale di Verona. Occorre comprendere – ribadisce inoltre il direttore dell’Ufficio Cei – che il nostro agire in qualità di medici cristiani deve mirare ad un doppio traguardo: la promozione della salute e l’annuncio della speranza, anche nei casi più difficili’. Tre, in particolare, i compiti affidati a chi si occupa a diverso titolo della cura dei malati: innanzitutto ‘promuovere la diffusione degli hospice, cioè dell’accompagnamento nell’ultimo tratto della vita, per evitare che i malati cadano in quella logica di nichilismo e di morte che si nasconde dietro l’eutanasia’; quindi ‘imparare a con-solare nel senso etimologico del termine: ossia essere vicini alla solitudine di chi altrimenti cadrebbe nella disperazione’. ‘Noi – ha sottolineato infine don Manto – non possiamo modificare le strategie del Servizio sanitario nazionale, ma possiamo stimolare la riflessione e il dibattito sulla legge che lo ha istituito (la 833 del 1978, ndr ), di cui quest’anno ricorre il 30’anniversario’.
Il luogo di cura per eccellenza
'La famiglia nella realtà della malattia' è il tema scelto dalla Chiesa italiana per la 16a Giornata mondiale del malato
AUTORE:
Giovanna Pasqualin Traversa