La terza di Avvento è la domenica della gioia ( Gaudete ) che si apre con l’invito dell’antifona d’ingresso: “Rallegratevi sempre nel Signore, ve lo ripeto, rallegratevi: il Signore è vicino” ( Fil 4,4-6). Su questo tono gioioso continua la liturgia della Parola proponendoci di ascoltare il profeta che accompagna il cammino verso il Natale: Isaia.
In consequenzialità con le due precedenti domeniche, in cui il profeta ha annunciato un futuro prospero e pacifico inaugurato da un Germoglio, ecco ora che questo tempo sta per giungere a compimento. Infatti è terminata l’epoca dell’esilio in cui si trovava il popolo dell’antica Alleanza; torneranno i riscattati dal Signore ed entreranno con grida di gioia; e alla gioia del popolo fa eco la poetica descrizione dello splendore della terra di Dio in opposizione allo squallore della terra dei dominatori. A questo punto la Parola si pone come anticipo di quanto il brano evangelico propone. Se coloro che hanno creduto possibile il ritorno in patria assisteranno ai prodigi del Signore in favore del popolo, ora per mano di Gesù questi prodigi si realizzano: i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono mondati, i sordi odono, i morti risorgono, ai poveri viene annunciata la buona novella.
Non più verbi al futuro, ma al presente. Tutto ciò è presentato nel brano evangelico, che vede protagonista anche questa domenica la figura del Battista in un susseguirsi di tre scene: 1) Giovanni invia i suoi discepoli a
Abbiamo tutti bisogno di un ‘battezzatore’ che ci faccia scorgere la presenza di Gesù nella concretezza della vita Gesù per chiedergli la sua identità, 2) Gesù risponde ai discepoli e li rinvia a Giovanni, 3) Gesù elogia Giovanni. In merito alla prima scena, sembra fuori luogo che Giovanni abbia bisogno di conferme in merito alla persona di Gesù, proprio lui che aveva annunciato l’istaurarsi imminente del Regno. Giovanni Battista – come ha commentato Papa Francesco – “ha sofferto la prova del buio, della notte nella sua anima” (omelia a Santa Marta, 06-02-2015).
Consideriamo però a quale fase storica apparteneva Giovanni, una fase in cui dominava la corrente apocalittica e il Regno con la sua instaurazione avrebbe caratterizzato una fase di ‘separazione’ tra gli uomini (“raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia nel fuoco inestinguibile”, Mt 3,12).
Gesù corregge queste aspettative utilizzando proprio la Parola annunciata dai profeti, e confermando che quanto Isaia aveva predetto riguardava non castighi, punizioni e ‘separazioni’, ma benefici individuali e collettivi evidenziati ora in cinque categorie di miracolati: ciechi, zoppi, lebbrosi, sordi e morti. Gesù non risponde in modo diretto a Giovanni – avrebbe potuto rispondere: “Sì, sono io colui che deve venire” – ma lascia rispondere le opere che compie.
A questo punto possiamo sentirci interpellati anche noi da Gesù: riconosciamo le opere che compie quotidianamente nella nostra vita oppure attendiamo fatti eclatanti? È il Salvatore della nostra vita? Spesso cadiamo nella tentazione di pensare che siamo noi a dover dare qualcosa a Dio.
Effettivamente, scriveva don Primo Mazzolari: “Un Dio che ha bisogno è un assurdo filosofico, ma per il mio cuore è la tenerezza che mi lega invincibilmente a Lui”. Se quindi il nostro relazionarci a Dio ci fa star bene, è altrettanto vero che non siamo noi i primi a cercarlo o a donargli qualcosa, ma è Lui che interviene per primo nella nostra vita, anche attraverso l’incontro con persone significative come l’incontro delle folle con il Battista. Come le folle del tempo di Gesù, anche noi necessitiamo di un ‘battezzatore’ che ci faccia scorgere la presenza di Gesù nella concretezza della vita.
Gesù stesso ha confermato le folle che ascoltavano il Battista e ha tracciato un elogio del Precursore quale mai a nessuno era stato fatto. Giovanni non è un vile (una canna scossa dal vento), non segue la vacuità della moda di ‘palazzo’ (abiti di lusso; in greco il termine proprio è “morbide vesti”, alludendo alla sola ‘facciata’). Giovanni è un profeta, anzi più che un profeta.
Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”. La missione di Giovanni è quindi quella di indirizzare a Cristo. Lo faceva nel I secolo, ma lo continua a fare oggi nella Chiesa attraverso chi, con fedeltà e coraggio, testimonia Cristo indicando lui come scopo ultimo della vita, senza secondi fini o compromessi. Sta quindi a noi cercare di rientrare nella categoria dei “poveri” (filo rosso di tutta la liturgia della Parola della terza domenica di Avvento) a cui è destinata la Buona Notizia. I personaggi come Abramo, Davide… abbondavano di ricchezze anche materiali perché erano poveri è privi di presunzione interiore: il loro Tutto era il Signore. Nel Midrash Rabbah leggiamo: “Il Tabor e il Carmelo… si esaltarono dicendo: ‘Noi siamo alti e il Santo, benedetto Egli sia, darà la sua Legge sulle nostre cime’. Il Sinai invece si umiliò, confessando: ‘Io sono basso’. A queste parole il Signore fece posare la sua gloria su di esso e la Torah fu donata sulla sua sommità”. Facciamoci quindi ‘poveri’ e, sul modello di Maria Immacolata appena celebrata nell’omonima solennità, desideriamo di veder realizzato quanto il versetto alleluiatico ci invita cantare: “Lo Spirito del Signore è sopra di me, mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio” ( Is 61,1).