Seguiamo ancora il discorso parabolico di Gesù nel capitolo tredicesimo di Matteo, e troviamo in questa domenica la parabola della zizzania (con la sua spiegazione), a cui seguono quella del granello di senapa e del lievito. La prima parabola che incontriamo – e solo su questa ci soffermiamo – è esclusivamente matteana, ed è un’allegoria che mostra come “‘funziona” la storia del mondo e del Regno dei cieli.Notiamo in primo luogo che tutto accade mentre si dorme (“mentre tutti dormivano”, Mt 13,25), senza piena coscienza dell’uomo, ovvero, senza che questi si possa pienamente rendere conto dell’intervento del nemico che semina zizzania. Non che gli uomini siamo stupidi, tutt’altro: si vuole forse dire che a noi non spetta mai la comprensione definitiva della realtà. Infatti, non si conosce il tempo nel quale il figlio dell’Uomo ha seminato il grano buono, e la semina della zizzania è compiuta di notte, mentre tutti dormono.
La notte nella Bibbia è spesso il momento dei sotterfugi e dei ladri, dell’insonnia dei malfattori ma anche lo spazio in cui avviene qualcosa di cui non si è pienamente consapevoli. E la zizzania, di notte, viene seminata da un nemico. Esiste infatti un nemico. Questo è avvolto dall’oscurità, non se ne vedono i contorni, ma soprattutto non si sa da dove venga: c’è e basta, come il serpente che i primi uomini si trovano davanti nel giardino. Una cosa è certa: il nemico non è voluto da Dio, non viene da lui, perché fa il contrario di quello che Dio compie, e, anzi, è proprio definito “il suo nemico” (13,25). Il credente deve affrontare non solo gli ostacoli naturali, quelli della propria esistenza, i limiti che ci impone la nostra stessa vita, ma anche chi non vuole il suo bene: la vita cristiana è una vera e propria lotta contro il Male.
La parabola però si apre alla speranza: insistendo nel dire che il campo è del Seminatore, è davvero suo (“ha seminato del buon seme nel suo campo”; 13,24), Matteo sottolinea infatti che il mondo è nelle mani del Figlio dell’uomo. È il Signore che se ne dovrà preoccupare, e non si lascerà sfuggire di mano il raccolto buono. Dicevamo sopra che la realtà non può essere pienamente afferrata dall’uomo; e questa, sembra dire la parabola, non lascia nemmeno spazio ad una soluzione definitiva per l’oggi: bisognerà aspettare domani. Di fronte all’incombere del male, della zizzania che cresce e che forse è molto più evidente del grano buono, quella che i servi propongono è una soluzione, appunto, “da servi”, non da discepoli: “Vuoi dunque che andiamo a raccogliere la zizzania?” (13,28). Non deve accadere che per eliminare il male anche il bene subisca danno, si deve piuttosto attendere la fine del mondo: “Il grano e la zizzania, cioè il bene e il male, crescono insieme in un intreccio che non spetta all’uomo districare. Lo farà il Signore a suo tempo” (B. Maggioni).
Certo, questo ci sconcerta: perché la resa dei conti non può aver luogo subito, perché Dio non distrugge i cattivi e sin da ora non esalta i buoni? Perché il male con il quale lottare ogni giorno? Perché le prove, la tentazione, la lotta e l’insicurezza del non poterne uscire vittoriosi? Questa parabola è come un inno alla pazienza, e dice del martirio a cui ogni uomo è sottoposto nella sua persecuzione quotidiana. Vi è però un’altra notizia importante nella nostra parabola: il mondo è destinato a finire. Di fronte alla nostra realtà, sempre più giocata sul quotidiano e sui bisogni immediati da soddisfare, quest’aspetto è di un enorme significato: “La mietitura rappresenta la fine del mondo, e i mietitori sono gli angeli” (13,39).
Non c’è un per sempre delle realtà terrene, tutto ha una fine, tutto è sottoposto alla caducità. E nel mondo, oltre all’incombere del male nella sua forma di seminatore di zizzania, vi è anche una misteriosa e buona presenza angelica. Non siamo abbandonati alla nostra sorte, e gli inviati di Dio si mostreranno finalmente presenti così come, anch’essi mossi dalla pazienza, hanno partecipato nel segreto alla lotta degli uomini. Dietro un semplice racconto che parla di campi e di semi, è nascosto il segreto del nostro mondo e del Regno. Quella della zizzania e del grano è senz’altro, nel capitolo tredicesimo di Matteo, la parabola più escatologica di tutte, quella che apre il cuore alla prospettiva futura. Ma ha anche un forte senso legato alla vita della Chiesa e della comunità dei credenti: “Matteo vuol spiegare come mai né il mondo né la stessa chiesa siano fatti solo di giusti, e come si debba imparare ad accettare pazientemente questo fatto, pena un peccato ancora più grave di orgoglio e di presunzione” (Mello).