Il Vangelo della 14a domenica del tempo ordinario, ciclo A, è divisibile in tre brevi sezioni. La prima (vv. 25-26) è una preghiera di lode. Gesù loda il Padre, perché si è fatto conoscere non dai sapienti e dagli assennati, ma dai piccoli. Qui la parola “i piccoli” non significa “i bambini”, ma piuttosto i non assennati, gli inesperti di problemi di leggi, gli appartenenti al popolo comune e non istruito. Gli intelligenti e assennati sono invece coloro che a quel tempo avevano in mano le chiavi della cultura, della legislazione religiosa e della sua interpretazione: i capi religiosi, i dottori della Legge.
Le loro pretese pesavano soprattutto sul popolo minuto. Secondo il pensiero corrente dell’epoca, l’affermazione di Gesù suonava paradossale. Oggi altrettanto. La preghiera si conclude con una conferma solenne: “Sì, Padre, questa è stata la tua scelta benevola”, checché ne pensino i grandi di questo mondo. Secondo le Scritture sante, è una costante dell’agire di Dio scegliere ciò che è piccolo, che non conta agli occhi del mondo, per realizzare ciò che è decisivo. Già nell’Antico Testamento se ne possono leggere molti esempi. Ma forse il momento più alto è nella prima lettera di san Paolo ai cristiani di Corinto. (1 Cor 1,21-25). Dio non ha salvato il mondo attraverso sofisticati ragionamenti, o miracoli vistosi, ma per mezzo della “stoltezza della predicazione”: l’annuncio di Gesù Cristo morto e risorto.
Un’affermazione come questa, oggi, è “politicamente scorretta”. Le culture dominanti accettano forse l’idea che la debolezza o la piccolezza possano mai essere vincenti? Nella seconda sezione (v. 27) Gesù parla di sé e del suo rapporto con il Padre. Nessuno conosce il Padre così intimamente come lo conosce il Figlio, né Gesù può essere conosciuto da qualcuno, così come lo conosce il Padre. Gesù però dà, a quelli che vuole, esperienza di sé e del Padre. C’è qui una risonanza di un altro passo del Vangelo secondo Matteo (16,13-17). Gesù domandò un giorno al gruppetto dei dodici che cosa pensavano di Lui. Pietro a nome di tutti rispose che, secondo loro, Egli era il Messia, il Figlio di Dio. In risposta Gesù gli disse: “Tu sei beato, non perché hai scoperto la verità da te stesso, ma perché il Padre te lo ha rivelato”.
La terza sezione (vv. 28-30) è un grande invito alla sequela, rivolto a tutti, ma particolarmente a quelli che sono affaticati dai pesi della vita. Sul piano grammaticale, l’invito è sostenuto da tre imperativi: “Venite a me… prendete il mio giogo… imparate da me”. Gli affaticati della vita sono coloro che conoscono le difficoltà dell’esistenza. Il fardello di cui parlava il Maestro era di ordine politico, economico, religioso. Si sa che al tempo di Gesù, sotto l’occupazione romana, la povera gente ne conosceva il rigore, gli attentati connessi, la repressione, una fiscalità molto pesante, una situazione economica lamentevole, un’esistenza precaria. Inoltre la religione, così come era gestita dalle autorità religiose d’Israele, era fatta di precetti molto severi: si parla di centinaia di prescrizioni, che continuavano a moltiplicarsi, e che ogni buon giudeo doveva rispettare.
Ne risultava un “giogo” importabile. San Pietro in occasione del Concilio di Gerusalemme, dove si discusse la questione se anche i pagani, che venivano alla fede, dovessero osservare le leggi giudaiche, si espresse così: “Fratelli, perché tentate Dio mettendo sul collo dei discepoli un giogo che né i padri nostri né noi siamo stati in grado di portare?” (At 15,10-11). Gesù è venuto a sollevare dal collo quel giogo insopportabile e ad offrirne uno “soave e leggero”: la sequela di lui, che scelse di stare fra i piccoli, i poveri, i miti. Solo accettando quel giogo è possibile sperimentare il riposo vero, quello della mente e dell’anima, quello che il mondo, in continua agitazione, non può conoscere.
Sant’Agostino, dopo anni di agitazione in cerca di un’introvabile pienezza, approdò sulle rive di Dio e ne lasciò testimonianza, scrivendo: “Ci hai fatto per te, Signore, e il nostro cuore non trova quiete, finché non riposa in te” (Conf. I 1,1). Il messaggio evangelico non è un messaggio “moralistico”, un codice di leggi su ciò che è vietato o permesso; ma è semplicemente la rivelazione di un Dio che è il Padre di Gesù e il Padre nostro. Il messaggio della paternità di Dio è il solo autenticamente liberante. L’unico comandamento è “tu amerai”. Amare Dio e amare il nostro prossimo alla maniera di Gesù. Ciò che è permesso e ciò che è vietato è solo la conseguenza di una conoscenza personale del Dio di Gesù Cristo.