Il fascismo perenne

di Angelo M. Fanucci

Il fascismo è una realtà attuale o no? Sul tema confliggono in tv Daniela Santanchè, odorosa di mughetti artificiali, e “Lele” Fiano, parlamentare del Pd, figlio di quel Nedo Fiano che, deportato ad Auschwitz con tutta la famiglia, fu l’unico che ne uscì vivo. Esiste davvero un fascismo perenne? E riesce ad affascinarsi? Lei dice di no, lui e io diciamo di sì. Sotto il pelo dell’acqua, pronto ad affascinarci quando la storia gliene presta l’occasione, cova il fascismo perenne. Umberto Eco l’ha chia- mato “l’Ur-fascismo”.

Sotto il pelo dell’acqua il fascismo è ancora e sempre il male assoluto per quello che riguarda i rapporti civili, così come il peccato contro lo Spirito santo lo è per quello che riguarda la coscienza individuale. Il fascino di questi due mostri è ineliminabile dalla vita dell’uomo: essi tornano a proporsi ogni volta che la coscienza civile si appanna e ogni volta che la coscienza individuale non regge il carico degli eventi.

Come un ragazzino di borgata ruba due caldarroste e poi dice che gliele hanno regalate, così il Duce ha rubato la sindèresi agli italiani ed è riuscito a qualificarsi come il loro salvatore. E gli italiani gli hanno creduto. E gli hanno perdonato di tutto. E per lui hanno perso il senso del ridicolo.

Gli hanno perdonato di tutto, anche le prediche sulla moralità della donna, mentre lui, le donne, le trattava come bestie. Recentemente Roberto Olla, responsabile di Tg1 Storia, ha pubblicato un saggio puntuale, Dux. Una biografia sessuale di Mussolini. Quattrocento sarebbero, secondo una stima attendibile, le donne con le quali il Duce consumò uno o più rapporti sessuali. Era certo che così esprimeva la pienezza del suo potere politico. Mise al mondo figli legittimi e illegittimi, “intrattenendo molteplici amanti, brune e bionde, magre e procaci, di varie nazionalità”. E curava anche il commento: “Sono giovani e belle, le prendo, poi non ricordo più né il loro nome né come sono fatte”.

Ma anche i più bacchettoni tra gli italiani gli perdonavano tutto, in nome “del mito del suo corpo da contadino padano, con la mascella quadrata e le schegge d’acciaio conficcate nel petto villoso durante la guerra. E i muscoli esibiti col piccone in mano durante le demolizioni per aprire a Roma via della Conciliazione”.

E hanno perso il senso del ridicolo, gli italiani: lui manovra il piccone, a petto nudo, per 10 secondi, lui per altri 10 secondi infila le gregne di grano nella vetusta macchina da battere il grano, e loro applaudono per tuta la vita. Lui si affaccia dal balcone di palazzo Venezia con le mani arrovesciate sui fianchi e un ceffo da istrione di infima categoria, ed è un uragano di applausi; anche quando annuncia la volontà di spezzare le reni alla Grecia; anche quando proclama che l’Italia è entrata in guerra. Dice: ho buttato sul tavolo della trattativa della guerra, vinta prima di iniziare, “appena qualche migliaio di vite giovani” (e invece saranno milioni).

Ce lo portiamo dentro tutti il fascismo perenne, la disponibilità ad affidarci di nuovo a un porcaccione che ci garantisce, oltre la puntualità dei treni, che penserà, sceglierà e agirà al nostro posto.