Quando il card. Joseph Ratzinger durante la Via crucis del Venerdì santo del 2005, alla nona stazione in cui si medita la terza caduta di Gesù sotto la croce, parlò di “sporcizia nella Chiesa”, molti di noi ci sentimmo delusi e in qualche modo traditi, come se avessimo subito un’offesa alla nostra onorabilità e dignità presbiterale. Il cardinale prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, che sarebbe divenuto Papa a distanza di pochi giorni, doveva avere gravi ragioni per confessare, in diretta televisiva trasmessa in mondovisione, quella dichiarazione di autoaccusa. Disse esattamente: “Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a Lui!”. Capimmo poi, sempre più chiaramente, che quel grido di angoscia si poneva nel solco della Giornata di richiesta del perdono per i peccati dei figli della Chiesa, commessi nei secoli passati, fatta con lealtà e coraggio da Giovanni Paolo II durante il grande Giubileo del 2000. Più ancora, in questi giorni siamo costretti a legare quanto accade alla tradizionale lotta che la Chiesa ha dovuto sostenere al suo interno contro gli scandali e le colpe, i delicta graviora, i delitti più gravi di fedeli, ecclesiastici e laici. Uno degli organismi predisposto per la purificazione della Chiesa durante i secoli è stato la Penitenzieria apostolica, uno dei più antichi dicasteri della Curia romana; e accanto a questo, innumerevoli iniziative volte alla formazione e santificazione del clero, ricorrendo anche a severi provvedimenti disciplinari. Oggi non si usano più le celle carcerarie dove rinchiudere preti accusati di colpe o colti in flagranza di reato, come faceva san Carlo Borromeo, vescovo di Milano. Sono altri i mezzi per confermare i preti nelle loro scelte, curarne la preparazione, sviluppare la loro formazione umana e sacerdotale, selezionare i candidati al sacerdozio e la vita nei seminari, facendo attento discernimento sulle inclinazioni dei seminaristi, giungendo, come è avvenuto in certi casi, a denunciare i trasgressori ai tribunali ecclesiastici e civili. Questo per sfatare l’idea che la Chiesa nel suo complesso sia colpevole di connivenza. La Congregazione per la dottrina della fede, attraverso il promotore di giustizia – attualmente impersonato da mons. Charles J. Scicluna -, tiene in mano la situazione. Ha ripercorso e reso noto, in un’intervista ad Avvenire del 13 marzo scorso, i dati ed il sistema di controllo e repressione dei delitti nella Chiesa a partire dal 1922 fino ad oggi, ridimensionando e precisando i casi del doloroso e delicato problema. La bagarre mediatica, però, sembra piuttosto strumentale, ponendo l’accento sulle colpe dei preti piuttosto che sulla sofferenza delle vittime, non riuscendo neppure a percepire che tra queste c’è proprio anche la Chiesa. Chi ha subìto violenze e soprusi deve essere risarcito del danno psicologico e morale, senza, peraltro, cedere a ricatti di speculatori che non mancano mai di intrufolarsi in tali controverse situazioni, prodottesi nell’arco di lunghi decenni. La Chiesa ha già pagato e sta pagando, ed è disposta a pagare mettendo a disposizione i beni e le risorse degli onesti per le colpe dei trasgressori. E la Chiesa? La gravissima ferita sarà risanata dal Signore attraverso la testimonianza delle centinaia di migliaia di preti, della loro vita spesa per e tra la propria gente. La Chiesa, Corpo di Cristo infangato e umiliato, non si difende con argomenti di calcolo di dati, se non per far emergere la verità contro i soprusi della stampa anticlericale, che le ha dichiarato una guerra internazionale, e non vuole provocare sfidando “chi è senza peccato”. Sa di essere insieme peccatrice oltre che santa e quindi semper reformanda, in stato di continua conversione. Sa anche di essere forte pur nella debolezza e di essere portatrice di una parola di speranza e salvezza per il mondo. C’è tanta gente che conosce e ama i suoi preti di cui apprezza la fatica e la disponibilità, sperimenta la fedeltà e la vicinanza, coglie la sincerità e la trasparenza e la sincera carica di umanità senza riserve. Coloro che intendono usare l’arma del ricatto per chiudere la bocca alla Chiesa, non si illudano di poterlo fare. L’antica pretesa di rendere la Chiesa muta oppure subalterna, ora a Tizio, ora a Caio, secondo da che parte tira il vento dell’arroganza dei poteri, è già fallita, dal tempo in cui chiusero la bocca ad un uomo che, crocifisso, pronunciò una parola ancora più forte, assordante.
Il dramma della pedofilia usato come bavaglio per la Chiesa
Sui media internazionali forti attacchi alla Chiesa
AUTORE:
Elio Bromuri