La guarigione del sordomuto di cui ci parla il Vangelo di Marco di questa domenica è un esempio emblematico di come Gesù ristabilisca la piena comunicazione dell’uomo con Dio e con gli altri uomini, della creatura umana col suo Creatore e con i suoi simili. Rileggiamo l’episodio evangelico, per così dire, “al rallentatore”, cercando di evidenziare il valore di segno che esso contiene, ispirandoci anche al messaggio del profeta Isaia proclamato nella prima lettura: quando il Signore verrà a salvarci, “allora si apriranno gli orecchi dei sordi e griderà di gioia la lingua del muto”.
Il brano evangelico è ambientato in pieno territorio pagano. Pertanto il sordomuto condotto da Gesù diventa sia il simbolo del non-credente che compie un cammino verso la fede, sia il simbolo di ciascuno di noi, in continua conversione. Sordo è chi è incapace di ascoltare e di comprendere non solo le parole degli uomini, ma anche la Parola di Dio. Muto è chi, incapace di rispondere ai messaggi che non riesce a ricevere, mugola suoni inarticolati, ha la lingua impedita, parla poco e male. Insomma non comunica; non riceve e non trasmette, non capisce e non si capisce quando parla.
La prima cosa che Gesù fa è portare l’uomo lontano dalla folla: lo sottrae a quella “rete smagliata” di comunicazione intermittente, anzi interrotta, che tiene il sordomuto ermeticamente rinchiuso in una bolla di solitudine dolorosa, come una cella senza porte e senza finestre. Il Signore non vuole dare pubblicità al gesto che sta per compiere, ma non vuole neanche che la sua parola sia “coperta” dal frastuono delle voci e delle chiacchiere vane dell’ambiente. C’è qui un monito e un richiamo per noi: la Parola di Dio, che il Cristo ci trasmette, ha bisogno di silenzio per essere percepita e accolta come parola che guarisce e risana, che riconcilia e ristabilisce la comunicazione.
Vengono poi narrati due gesti compiuti da Gesù, che Marco descrive in modo colorito e dettagliato: mentre la gente lo aveva pregato solo di imporre la mano sul sordomuto, Gesù gli mette le dita negli orecchi, poi con la saliva gli tocca la lingua. Il Maestro di Nazaret non guarisce a distanza; per ripristinare la relazione con quell’uomo impedito, cerca prima di ristabilire il contatto, quindi lo tocca. Ma il miracolo è un dono dall’alto, che Gesù implora dal Padre: per questo alza gli occhi al cielo – gesto che abbiamo già notato all’atto di moltiplicare i pani – ed emette un gemito, un sospiro intenso dal profondo. Questo gemito nella preghiera è un particolare che ricorre qui per la prima volta, ma si ritrova poi nella Lettera ai Romani, proprio a proposito della preghiera cristiana, quando san Paolo parla dello Spirito santo che prega in noi e intercede per noi “con gemiti inesprimibili”.
Dopo la parola potente di Gesù – Effatà, “apriti!” – il sordomuto riprende a udire e a parlare. La folla di quel paese pagano, sbalordita, comprende ciò che sta avvenendo ed esplode in quel riconoscimento strabiliante: “Ha fatto bella ogni cosa”. Proprio così: quando l’uomo ascolta il suo Signore e gli risponde, non solo lui, ma tutta la creazione torna bella. Nasce il mondo nuovo, come Dio lo aveva pensato “dal principio”.
Parlandoci di Gesù come il grande comunicatore, questo Vangelo parla anche di noi: troppo spesso viviamo ognuno per sé, ripiegati e chiusi nell’involucro impenetrabile del nostro io, e creiamo uno sterminato arcipelago di isolotti inospitali e inaccessibili. Perfino i rapporti umani più elementari sembrano fatalmente destinati a creare realtà a loro volta prigioniere di se stesse e incapaci di apertura reciproca: la coppia chiusa, la famiglia chiusa, il gruppo chiuso, la parrocchia chiusa, la patria chiusa…
Eppure la storia di ciascuno di noi è cominciata, al battesimo, con il gesto e la parola di Gesù: “Apriti!”. E il miracolo si è compiuto: siamo stati guariti dalla sordità dell’egoismo e dal mutismo della incomunicabilità, e siamo stati inseriti nella grande “rete” della Chiesa. Possiamo ascoltare Dio che ci parla e riprendere ad annunciare reciprocamente il Suo amore. Siamo diventati “uditori della Parola” (Karl Rahner) e abbiamo ricevuto la gratia Verbi, il dono di poter ricevere e trasmettere la Parola di Dio. Siamo stati abilitati a comunicare con Lui e tra di noi e con tutti.
Lasciamo allora che il miracolo si ripeta ancora in ciascuno di noi: con la Sua parola, il Signore ci ha riaperto gli orecchi del cuore e ora ha sciolto il nodo della nostra lingua. Perciò professiamo con rinnovato entusiasmo la nostra fede, e comunichiamo con la nostra vita le meraviglie del Suo amore a quanti incontriamo ogni giorno sul nostro cammino.