Con il vangelo che inaugura un nuovo tempo di Avvento ci collochiamo all’interno dell’ultimo dei cinque lunghi discorsi di Gesù che scandiscono il vangelo secondo Matteo, il discorso dei capitoli 24-25. Per intenderci, è quello che anche gli altri sinottici conoscono e riguarda la distruzione del Tempio di Gerusalemme (che il lezionario ci ha presentato da poco), della città stessa e le calamità che accompagnano il ritorno del Figlio dell’Uomo. Per Matteo, si parla anche di “discorso del monte degli Ulivi” (per il fatto che inizia in quel luogo: “Sedutosi poi sul monte degli Ulivi, i suoi discepoli gli si avvicinarono e, in disparte, gli dissero: Dicci quando accadranno queste cose, e quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo”: Mt 24,3).La parola-chiave di questo brano è parousia.
Solo Matteo, tra gli evangelisti, la conosce: si ritrova invece nel corpus paolino e in tre delle lettere cattoliche. Questo termine significa anzitutto presenza, ma poi prende il significato di venire, avvicinarsi: la Cei traduce nel Vangelo di oggi con venuta: (24,36.39: “la venuta del Figlio dell’Uomo”). Il Bauer rende l’espressione anche con avvento. Nelle quattro volte che Matteo usa questa parola nel capitolo 24, significa la venuta, o il ritorno del Messia alla fine della storia. Di questa venuta, nessuno conosce la data. È detto da Gesù al versetto che precede il brano di oggi, 24,36: “Quanto a quel giorno e a quell’ora, però, nessuno lo sa, neanche gli angeli del cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre”. Quello che si può fare è attendere.
Nel Talmud i rabbini insegnano che ci si dovrebbe pentire il giorno prima della propria morte. Dato che nessuno sa quando la morte verrà, è chiaro che intendono che ci si deve pentire ogni giorno. La parousia del Figlio dell’Uomo svolge la stessa funzione: il fatto che non se ne conosca la data richiede una quotidiana preparazione. Infatti per tutto il vangelo di oggi domina una forte indeterminatezza: non si può non mettere questo appuntamento nell’agenda, ma non si sa dove scriverlo: l’unica soluzione è tenerselo bene a mente. Ma le parole di Gesù ci suggeriscono anche un’altra pista. Le rileggiamo: “Come fu ai giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito, fino a quando Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e inghiottì tutti, così sarà anche alla venuta del Figlio. dell’uomo” (24,37-39).
Secondo un midrash rabbinico, scrive A. Mello, “Noè era stato avvisato con molto anticipo del diluvio incombente, in modo da dare ai suoi contemporanei la possibilità di convertirsi e mettersi in salvo”: insomma, l’umanità sarebbe stata messa in guardia dal patriarca (quasi un Giona ante litteram, cosa che il testo della Genesi invece non dice…). Ma questi non si accorsero di nulla; alla lettera: non seppero nulla, oppure, esagerando un po’ la traduzione, non vollero credere (“Nuovissima Versione”). Ci viene in mente quanto tragicamente accade al don Ferrante dei Promessi Sposi. A rileggere il cap. 37 del romanzo si gusta l’ironia del Manzoni, che racconta come “al primo parlar che si fece di peste, don Ferrante fu uno de’ primi risoluti a negarla, e che sostenne costantemente fino all’ultimo, quell’opinione; non già con ischiamazzi, come il popolo; ma con ragionamenti, ai quali nessuno potrà dire che almeno che mancasse la concatenazione”.
Sappiamo come finisce: “Su questi bei fondamenti, non prese nessuna precauzione contro la peste; gli s’attaccò; andò a letto, a morire, come un eroe di Metastasio, prendendosela con le stelle. E quella sua famosa libreria? È forse ancora dispersa su per i muriccioli”. I libri del Ferrante, da cercare sulle bancarelle dei venditori ambulanti, non l’hanno aiutato a cogliere il senso di quanto stava accadendo. E questa generazione – la nostra – non è forse paragonabile al dotto ma stupidissimo pseudo-intellettuale? Anche noi, magari presi dalle cose buone (nulla di male nel mangiare e bere o nello sposarsi, non siamo certo inclini al bigottismo), o da quelle cattive, perdiamo spesso di vista le visite di Dio. Così, come la predicazione di Noè non servì ai suoi contemporanei, allo stesso modo le parole di Gesù non sono servite a quelli che non l’hanno voluto ascoltare. Ma non ci dobbiamo rassegnare. Grazie a Dio ancora una volta la sua Parola risuona, in questo Avvento, e ci chiama a salire “sul monte del Signore”: è da lì che ci saranno indicate le sue vie per camminare sui suoi sentieri (cfr. Is 2,3).