Il demonio fra certezze, dubbi e negazioni

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Oscar Battaglia IV Domenica del tempo ordinario - anno B

Si parla poco del demonio. Anche noi preti evitiamo questo argomento scomodo nelle nostre omelie. Per un verso questo è dovuto al fatto che non si crede più nella sua esistenza e tanto meno nel suo influsso sul mondo e sulla storia. Tutt’al più si ritiene che il demonio non sia una persona, ma piuttosto la personificazione mitica del male, che nessuno può negare. Questo sinistro personaggio non può che essere contento di questo suo oblio; così può agire indisturbato ed scorrazzare liberamente su e giù per il mondo. D’altro canto dobbiamo mettere in conto la reazione contro certi ambienti che, in modo superstizioso e fanatico, vedono il diavolo dappertutto. Di conseguenza, prolificano improvvisati esorcisti, maghi e fattucchieri a cui molta gente ricorre per premunirsi e per combattere in modo rapido un disagio psicologico o una malattia. Sembra quasi che il demonio, cacciato dalla porta con la nostra cultura scientista, rientri dalla finestra con la superstizione popolare.

Non si può negare che Gesù abbia parlato del demonio e con il demonio; l’ha combattuto, stanandolo con facilità estrema dai suoi domini. È pensabile che si sia illuso? I primi tre evangelisti riportano in apertura le tentazioni di Gesù nel deserto ad opera del demonio; Marco e Luca indicano il primo miracolo di Gesù nella guarigione dell’indemoniato di Cafarnao. È quello che abbiamo ascoltato oggi nella liturgia domenicale. Con questo, non possiamo dire che il demonio abbia un posto di primo piano nella vita di Gesù; egli non appare affatto ossessionato dalla sua presenza, che resta marginale, ma non irrilevante. Basti pensare che su circa 35 miracoli raccontati in dettaglio nei vangeli, solo 3 o 4 sono costituiti da esorcismi. Una cifra minima, che indica la marginalità del diavolo nei Vangeli stessi.

La redenzione operata da Gesù è anche liberazione dal peccato e dal demonio: “Il Figlio di Dio è apparso per distruggere le opere del diavolo” (1 Gv 3,8), ma la sua azione è soprattutto positiva: è dono della vita divina ai credenti mediante la predicazione del Vangelo accolta con fede, e mediante la morte in croce di Gesù, la sua resurrezione e la sua ascensione al cielo. Gesù non si è mai atteggiato ad “antidiavolo”, si è presentato come salvatore, datore di vita divina agli uomini. Marco ci descrive oggi il primo esorcismo operato da Gesù proprio a Cafarnao, dove aveva appena chiamato i suoi primi seguaci. In apertura del racconto, l’evangelista ci dice che Gesù sta predicando nella sinagoga del paese in giorno di sabato, scadenza settimanale sacra per gli ebrei, giorno di riposo in onore di Dio creatore e redentore. L’esorcismo è dunque inserito in una liturgia della Parola dove appare tutta l’originalità del predicatore, che manifesta un’autorevolezza e un potere eccezionali. Egli non fa mai riferimento ai maestri di scuola, come i predicatori del tempo, per il semplice motivo che non ha frequentato nessuna scuola rabbinica. La sua parola però ha il potere di convincere e cambiare i cuori, è la parola creatrice di chi ha fatto il mondo.

Nell’episodio di oggi appare di un’efficacia sorprendente nello smascherare e scacciare il demonio che si annida perfino nel corpo di un devoto frequentatore della preghiera sinagogale. Questi è affetto da una possessione demoniaca, che interessa il suo corpo, ma che ha il suo riflesso nell’anima. La sua presenza in sinagoga sta a significare che egli cerca di dominarla con la preghiera, senza riuscirci. Non ci viene detto quali fossero le manifestazioni che l’accompagnavano. Marco dice, con espressione colorita, che quell’uomo era ‘in uno spirito impuro’, anziché dire che lo spirito era dentro di lui. Vuole dire che il diavolo possedeva quell’uomo e lo rivestiva di sé come con una camicia di forza, che non gli lasciava scampo. Solo la Parola di Dio letta e spiegata da Gesù riesce ad allentare quell’abbraccio soffocante, a rompere le sbarre della prigione in cui l’uomo è rinchiuso. L’evangelista indica il diavolo come ‘spirito impuro’, cioè l’opposto di Dio che è “il Santo”.

L’aggettivo indica la malvagità e la cattiveria che lo caratterizza nel pensiero e nell’azione. Egli vive nel torbido dell’inganno e del male, come immerso nel fango che lo rende immondo come i porci. Quell’essere malvagio, costretto da Gesù a venire allo scoperto, grida tutto il suo spavento con la bocca dell’uomo tenuto da lui prigioniero: “Che c’è tra noi e te, Gesù Nazareno?”. Così suona in greco il suo grido scomposto. L’espressione sta ad indicare che esiste una distanza abissale tra lui e Gesù. Questi è ‘il santo di Dio’, colui che incarna la bontà e l’amore di Dio per l’uomo; il demonio è “l’impuro”, colui che incarna tutta la malvagità e la cattiveria del mondo. Questa distanza morale così enorme non impedisce però a Gesù di raggiungerlo con la sua azione salvifica. Il braccio potente di Dio è lungo e colma ogni distanza. Il demonio si sente in balia del Santo di Dio, perché è lui il più forte (3,27) e può disporre del suo destino. Perciò grida disperato: “Sei venuto a rovinarci?”. Perché parla al plurale dicendo “noi”? Vuole forse dire che non agisce mai da solo, ma con la complicità e l’aiuto di chi è come lui. Lo dimostrerebbe la scena della guarigione dell’indemoniato di Gerasa, quando Gesù instaura un brevissimo dialogo con il demonio chiedendogli il suo nome. Quegli rispose: “Mi chiamo legione, perché siamo in molti” (5,9).

A questo punto il demonio fa un ultimo tentativo di resistenza, usando l’espediente dell’uso del nome di Dio alla maniera magica: “Io so chi tu sei: il santo di Dio”. Conoscere il nome vero di una persona significava poterlo utilizzare per acquistare potere su di lei. L’operazione magica non funziona con il Figlio di Dio santo. Gesù gli intima di tacere e di uscire dall’uomo che tiene in ostaggio. Il demonio non può rifiutarsi, ma esce sbattendo rabbiosamente la porta, umiliato e sconfitto: “straziandolo e gridando forte, uscì da lui”, lasciandolo tramortito. Ma ora quell’uomo è libero e la meraviglia e l’entusiasmo dei presenti tocca le stelle. Nessuno aveva mai visto una cosa simile: era “un insegnamento nuovo dato con autorità” e potenza. Tutto questo deve rassicurarci, perché siamo nelle mani del Dio potente salvatore, nascosti dallo scudo del battesimo, difesi dalla forza dello Spirito santo che ci è stato dato, custoditi dall’amore paterno del Dio-amore. Con Paolo possiamo dire: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Né morte, né vita, né angeli, né principati, né potenze, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù nostro Signore” (Rm 8,35ss). Bando alla superstizione!

AUTORE: Oscar Battaglia