Colpisce vedere quanta energia viene profusa per convincere l’opinione pubblica della bontà dell’aborto, e in particolare di quello fatto con la famosa pillola abortiva RU486. Dall’ospedale di Spoleto è stata presentata alla Regione (che ancora non ha assegnato i fondi) una proposta di progetto di ricerca finalizzata per sperimentare la pillola e i suoi effetti. Vengono richiesti soldi in nome di una ‘sperimentazione’ che si presta piuttosto ad essere interpretata come un espediente per aggirare il divieto vigente nel nostro Paese di somministrare la pillola. La sperimentazione, infatti, è già stata fatta, e con risultati non confortanti per le conseguenze sulle donne, in altri paesi europei e negli Stati Uniti, portando alcuni Governi (la Francia) alla decisione di vietarne l’uso. La campagna è a favore di un metodo abortivo che ha come risultato certo quello di isolare ancor di più la donna nella tragica decisione di uccidere la vita che porta in grembo, lasciando sulle sue spalle e nel suo cuore il peso di una scelta che il più delle volte subisce sotto pressioni di vario genere. L’opera del Movimento per la vita testimonia ogni giorno che un sostegno ed una presenza amica possono dare alle donne il coraggio di affrontare la gravidanza ed il figlio che verrà. Anche la ‘nuova’ esperienza della Caritas diocesana di Perugia dice dell’importanza del sostegno e della vicinanza necessari per portare a termine un’altra scelta possibile quando non si può crescere il proprio figlio: partorire e lasciarlo in ospedale per l’adozione, invece di ricorrere all’aborto. Sembra facile ma il dolore è forte e sarà sempre nel fondo del cuore. Con la sola consolazione (e non è poco) di sapere che il proprio figlio è vivo ed ha una famiglia che lo ama. Eppure nell’attraversare quei nove mesi, e poi il parto e il distacco definitivo e irrevocabile le donne devono anche affrontare il giudizio degli altri, di chi dice che sei una mamma scellerata. Stella Cerasa, responsabile del Centro d’Ascolto della Caritas di Perugia – Città della Pieve, in un anno e mezzo ha accompagnato sei donne, immigrate e italiane, in questa difficile decisione. ‘Da sole non ce la fanno ad affrontare il dolore e il giudizio degli altri, hanno bisogno di persone che stiano loro vicino’. Quando arriva il momento Stella lascia tutto e va in ospedale con la ragazza. Ma è un appuntamento preparato. Si sceglie un ospedale che metta a disposizione una camera singola dove non ci siano accanto altre mamme che prendono felici il figlio tra le braccia e ricevano visite di mariti e familiari, ‘perchè un momento di dolore non si incontri con la gioia degli altri’ commenta Stella. Anche la gravidanza è accompagnata con discrezione. Le ecografie di routine sono preparate da un colloquio con il medico: ‘Non faccia commenti, non mostri le immagini alla madre e proceda più velocemente possibile’. Il parto, di preferenza è con taglio cesareo perchè ‘il dolore del parto naturale si placa quando prendi in braccio tuo figlio, ma quando le braccia restano vuote…’. Queste madri il loro figlio non lo vedono neppure per un attimo. È meglio così, per loro. E chiedono a Stella ‘Com’è?’. ‘Sta bene, è sano’. Altro non serve dire. Ma la camera singola non basta. Il giudizio negativo, i commenti sussurrati neppure a bassa voce aggiungono lo stigma della madre scellerata al dolore dell’abbandono. Non immaginano, le altre mamme e il personale ospedaliero, quanto costa decidere di abbandonare il figlio cui si dà la vita. A volte, se può, Stella le aiuta a capire raccontando qualcosa, ‘e allora il giorno dopo le attenzioni prendono il posto del giudizio di condanna’. Stella è un fiume in piena quando racconta e ripete continuamente ‘non bastano le campagne di informazione, gli spot in tv o gli opuscoli che ci chiedono di distribuire. Per aiutare le donne che non possono tenere il figlio a scegliere di dargli la possibilità di vivere ci vogliono persone che le accompagnino con discrezione, che siano capaci di rispettare una scelta così sofferta’. Ci vogliono strutture e percorsi che garantiscano alle donne di non essere riconosciute nè giudicate, e strutture di accoglienza per il dopo parto in cui nessuno chieda conto della scelta fatta. La Caritas di Perugia, grazie alla collaborazione con altre Caritas umbre riesce a dare questo alle donne che non possono tenere il bambino ma non vogliono togliergli la vita.
Il coraggio di essere madre
Abortire o dare il figlio in adozione appena nato? Le donne che non possono tenere il proprio figlio sono sempre più sole di fronte alla scelta. E in Caritas è nato un nuovo 'servizio': stare
AUTORE:
Maria Rita Valli