Oggi siamo dominati dagli strumenti radio-televisivi. Stiamo vivendo l’epoca del “pensiero debole”. Per conseguenza, anche la nostra fede può diventare debole, abitudinaria, ripetitiva. Perciò bisognerebbe svegliare la nostra gente e stimolarla a pensare, a riflettere, a meditare, a usare la propria intelligenza anche quando presentiamo loro le verità rivelate, i riti religiosi. Si fa un ottimo servizio religioso, quando si stimola la nostra gente a ragionare almeno in chiesa. E il sacerdote, in questo senso, dovrebbe essere un esperto maestro. Ma il prete ha oggi tempo e voglia per scrutare con diligenza e passione le Scritture, per approfondire il tesoro inesauribile della tradizione della Chiesa, i documenti del Magistero, il pensiero teologico contemporaneo? Che ce ne sia bisogno è indiscutibile. Seconda conseguenza: “bisogna camminare in novità di vita” anche nella vita sacramentale. C’è motivo di chiederci come conduciamo le nostre celebrazioni liturgiche, perché spesso esse sono l’unico alimento che i nostri cristiani ricevono dalla Chiesa. Da come esse vengono celebrate dipende in gran parte il grado della presenza o dell’assenza di Gesù nelle nostre comunità ecclesiali. Ci sono purtroppo celebrazioni sciatte e non partecipate. Oggi però esiste un buon risveglio liturgico. Ma anche in questo caso c’è da stare vigilanti. Una bella liturgia, che affascina e soddisfa la sensibilità dei nostri fedeli, potrebbe essere una cattiva liturgia se non si preoccupasse di creare quel clima di raccoglimento, di interiore contemplazione del Mistero che si sta celebrando. Il senso del Mistero dovrebbe esser quasi reso sensibile e visibile in assemblea. Non sarebbe però opportuno ricorrere un po’ troppo a tecniche sonore e a scenografie spettacolari per accontentare il gusto della nostra gente. La “novità” di cui parliamo non è di questo tipo. La presenza del Cristo risorto, che deve stare al centro di ogni celebrazione dei sacramenti, ha un’altra sorgente: è la Parola di Dio, che è Gesù presente e protagonista delle nostre celebrazioni, ed è il suo Spirito, che è la vera vita delle nostre comunità. Infine in “novità di vita” deve animare anche la struttura della Chiesa e la sua attività pastorale.
Non c’è opposizione fra istituzione e carisma. Come lo spirito ha bisogno del corpo e il corpo ha bisogno dello spirito, perché si abbia una normale vita umana, così avviene anche nella Chiesa. Ma anche nella Chiesa può avvenire quello che avviene nella vita umana. È più facile che si dimentichi l’anima pensando solo al corpo, che viceversa. La stessa cosa può accadere nel modo di condurre una pastorale parrocchiale o diocesana. Siamo forse molto preoccupati a mandar bene l’organizzazione, la programmazione, la gestione amministrativa, l’impegno di persone generose e docili, tenendo presente come obiettivo il successo e il raggiungimento di certi ben precisi obiettivi. Fra questi obiettivi certamente non manca la presenza di Gesù, anzi la sua presenza è sempre rievocata come obiettivo, al quale tutto il resto viene finalizzato. E tuttavia si ha spesso l’impressione che Gesù si presenti come una figura un po’ sfocata, anche se gli si dà il primo posto. Perché avviene questo? Perché mettere Gesù al primo posto nella comunità parrocchiale vuol dire creare in essa suoi “testimoni” visibili. Essi saranno coloro che presenteranno il vero volto di Gesù. Ce ne potranno essere anche molto pochi in una parrocchia, in una diocesi. Non è tanto il loro numero che conta. Ma se mancassero del tutto, la presenza di Gesù in una parrocchia, in una diocesi – anche se tutto il resto andasse bene, anche se ci si sforzasse di metterla al primo piano – rimarrà sempre sfocata, non ben visibile, non sufficiente a richiamare l’attenzione a gente distratta qual è quella di oggi. Il primo compito di un sacerdote nella sua comunità ecclesiale è quello di creare in essa tali “testimoni” di Gesù.