Ci sono almeno cinque ragioni per sostenere che la recente tornata delle elezioni regionali è stata vinta dalla coalizione di centrodestra. Prima ragione. Le elezioni regionali di cinque anni fa avevano visto prevalere le coalizioni di centrosinistra in 11 regioni su 13. Oggi le coalizioni di centrosinistra sono riconfermate in 7 regioni mentre il centrodestra ha strappato 4 regioni al centrosinistra. Tutti i casi di alternanza alla guida di Amministrazioni regionali si verificano a favore del centrodestra. Seconda ragione. Nell’ultimo mese si era diffusa un’opinione, condivisa anche sulle sponde del centrodestra, che vedeva giunta al capolinea l’esperienza politica berlusconiana. Si trattava di opinioni non sprovviste di fatti. Il pasticcio delle liste aveva preso una gran parte del tempo a disposizione per la compagna elettorale, soprattutto in Lombardia e nel Lazio, due regioni cruciali. Non solo si è trattato di tempo ed energie disperse, ma di uno stato di incertezza protrattosi praticamente sino a due settimane dal voto. Questa situazione ha ulteriormente enfatizzato il ruolo da battitore libero assunto nella coalizione di centrodestra dal cofondatore del Popolo della libertà, onorevole Gianfranco Fini. Il risultato elettorale ottenuto dal centrodestra, alla luce di difficoltà come queste, assume un significato ancora più rilevante. Cosa sarebbe successo, e cosa succederebbe oggi, in queste regioni è più in generale nel Paese, se avesse luogo un confronto tra centrodestra e centrosinistra privo di queste interferenze? Probabilmente il risultato a favore del centrodestra assumerebbe dimensioni ancora più eclatanti. Terza ragione. Il centrodestra ha ottenuto questa vittoria mentre il Paese è ancora in un momento di crisi economica. Analoghi appuntamenti elettorali nei Paesi occidentali hanno visto avvantaggiarsi le opposizioni. La coalizione di centrosinistra ha invece ricevuto in Italia un giudizio negativo da parte degli elettori, che non la ritengono credibile neppure per rappresentare politicamente il grave disagio in cui si trovano. Quarta ragione. Non dimentichiamo neppure che, nelle democrazie consolidate, spesso gli elettori utilizzano le competizioni locali per bilanciare il potere centrale e quindi per contrapporre coalizioni di segno opposto a quelle al Governo a livello nazionale. Il risultato che abbiamo sotto gli occhi mostra che gli italiani non hanno ritenuto in questa circostanza di ricorrere a tale bilanciamento che in misura molto marginale. Quinta ragione. Non meno rilevante è che un tale risultato, la vittoria del centrodestra, sia stato ottenuto in presenza di un elevato astensionismo. Questo fenomeno, come sappiamo, danneggia infatti assai più il centrodestra che il centrosinistra. La perdita di più o meno 7 punti percentuali (o forse più, quando potremo disporre anche dei dati su voti bianchi e nulli) costituisce un’altra delle ragioni per le quali è da considerarsi estremamente significativa la vittoria del centrodestra, e i suoi termini probabilmente sottostimati rispetto a quelli che sarebbe stati ottenuti in presenza di una partecipazione al voto meno bassa. A questa valutazione possono essere aggiunte alcune considerazioni. Prima. Gli italiani difendono imperterriti quel bipolarismo che si sono conquistato a prezzo di referendum e che continuamente è sotto attacco da parte del ceto politico: D’Alema e Casini per primi. Lo difendono usandolo come mezzo per far funzionare la democrazia dell’alternanza e per stroncare ogni tentativo di ricostituzione di forze intermedie dedite al mercanteggiamento post-elettorale di mere rendite di posizione. Ciò vale soprattutto come bocciatura per l’Udc. Seconda. Il Pd non guadagna nulla dalla rinuncia alla vocazione maggioritaria. Prendendolo in parola, l’elettorato non lo considera un’alternativa, mentre quello di protesta disperde il proprio voto sempre più spesso tra Di Pietro e Grillo. Morta o moribonda ovunque, la sinistra sedicente alternativa raccoglie numeri decenti solo in Umbria grazie alla legge elettorale regalatagli di recente da quel pezzo di Pci che ora vive nel Pd. Terza. Il passaggio politico in corso presenta delle opportunità di evoluzione positiva. Una è quella che potrebbe aprirsi se il ceto politico accettasse che i cittadini vogliono il bipolarismo, e dunque usasse delle riforme per perfezionarlo e non per ostacolarlo. L’altra è quella delle competizioni interne ai due poli. Nel centrodestra quella tra Nord cattolico e leghista, e centralismo finian-tremontiano, statalista e laicista. Nel centrosinistra quella tra componente Pd ancora coerente con la vocazione maggioritaria e “pentiti”.
Il centrodestra vince per 5 motivi
Valutazioni post-elettorali del noto sociologo umbro Luca Diotallevi
AUTORE:
Luca Diotallevi