Il bottone giusto nell’asola giusta

Abatjour

Occasionalmente, in automobile, ho inteso la sua omelia a commento del Vangelo di domenica scorsa. Caro confratello, no, non ci siamo. Ho avuto modo di esprimerle la mia stima in riferimento a come lei altre volte ha egregiamente portato avanti altri impegni in altri settori della pastorale, ma stavolta no, stavolta devo dirle che non ci siamo. Lei, in quella sua omelia, ha adottato un “criterio di lettura” della Bibbia quasi… casareccio, un criterio viziato in radice dalla fretta. Ma io non posso scandalizzarmene, perché a lungo l’ho adottato anch’io, quel “criterio”. La Bibbia usa e getta: compri un hot-dog (in piedi), in piedi ne addenti la parte saporita, appena lo stomaco ti comunica il suo gradimento avvolgi quello che resta del “cane caldo” nel primo dei due tovagliolini di carta che t’hanno dato, getti il pacchetto nel buzzo giusto, con l’altro tovagliolino ti pulisci le labbra e le mani, secondo lancio nel buzzo giusto. Tutti noi preti, anche quelli che come me sono a mezzo servizio, la domenica diciamo un… certo numero di messe; ed è sempre una corsa ad ostacoli: c’è appena tempo per aprire il lezionario, dare un’occhiata al Vangelo… “Ah! Ho capito” e correre a suonare la campana, a cambiare la tovaglia dell’altare, a sistemare la veste del chierichetto che ha il bottone giusto nell’asola sbagliata…  E invece può capitare di non aver capito niente, di prendere fischi per fiaschi. Talvolta a questo pericolo rimedia la recente traduzione dei testi, quella nuova, quella del 2008, che, a proposito del Vangelo di Domenica scorsa, ci impedisce di continuar ad interpretare il famoso “Vade retro, Satana!” di Gesù a Pietro come un “Non ti voglio più con me!”, o addirittura come un “Pussa via, cagnaccio!”. No! Nella nuova versione Gesù gli dice di rimanere al suo posto di discepolo: dietro a lui, non davanti, perché la rotta giusta è solo lui che può tenerla. Ma l’esortazione di Gesù a “prendere la propria croce” lei (come anche io, fino a ieri; come tutti noi, da sempre) l’ha interpretata come un invito alla sofferenza, e il testo del Vangelo, nella sua materialità, potrebbe autorizzare questa lettura. Ma il mio mentore, Fernando Armellini, che io conosco solo tramite le buone grazie al suo Ascoltarti è una festa (ed. Messaggero di S. Antonio), dice che l’invito non è a soffrire, ma condividere la condizione degli ultimi. Perché la catechesi intorno alla domanda “Ma chi è Gesù di Nazareth?”, che occupa l’intero Vangelo di Marco, è rivolta non ad un destinatario generico, ma ai cristiani di Roma, e a Roma l’immagine della croce d’istinto si legava all’immagine dello schiavo, al quale era riservata. Avremo ragione noi, pigri cultori di traduzioni abborracciate, o avrà ragione Armellini? Certo è che lui, la domenica mattina, non ha campane da suonare, tovaglie d’altare da cambiare, chierichetti cui aggiustare la veste infilando il bottone giusto nell’asola giusta.

AUTORE: a cura di Angelo Maria Fanucci