Il Bel Paese ma per pochi

POVERTÈ IN ITALIA. Denunce e proposte nell'ottavo Rapporto Caritas/Zancan

L’Italia non è il posto dell’uguaglianza e nemmeno quello delle opportunità’: è il giudizio di mons. Vittorio Nozza, direttore di Caritas italiana, intervenuto alla presentazione del Rapporto Caritas/Zancan sulla povertà in Italia. ‘Più di altri Paesi europei ‘ ha osservato ‘ l’Italia presenta grandi differenze fra chi vive in un discreto benessere, chi tutti i giorni lotta per non oltrepassare la soglia della povertà, e chi dentro la povertà ci sta da tempo e non intravede nulla di nuovo nel futuro. Il desiderio e l’ambizione di passare da una condizione all’altra – ha aggiunto – è più difficile da realizzare da noi che altrove’. Tra le tante fragilità italiane vi sono, secondo il direttore della Caritas, ‘un’imbarazzante divergenza tra Nord e Sud, che invece di diminuire aumenta, la tragica carenza di innovazione, le elevate disuguaglianze sociali ed economiche. Il reddito non è distribuito in modo equo, si concentra ai vertici ed è diluito alla base’. Mons. Nozza ha ricordato che Paesi come l’Inghilterra, ad esempio, destinano alla lotta all’esclusione sociale l’1,7% del Pil, contro lo 0,1% italiano; mentre in Europa la media è dello 0,9%. La questione povertà, ha ammonito, ‘non è né di destra né di sinistra’ e ‘non può essere affrontata con colpi di genio e ad effetto ma solo con un piano nazionale strutturato e permanente. Assistiamo in questi giorni – ha osservato mons. Nozza – a montagne di soldi pubblici che, con il giusto accordo di tutti, corrono al capezzale della grande finanza e delle imprese in crisi per tentare di mettere in atto un salvataggio. Perché non fare altrettanto per soccorrere chi lotta quotidianamente per sopravvivere all’indigenza e alla precarietà?’. Rinunciare ai privilegi. Rinunciare a ‘rendite di posizione e interventi burocratici’ per mettere al centro i più fragili (soprattutto famiglie con persone non autosufficienti o numerose), fornendoli di ‘più servizi e meno trasferimenti economici’, con maggiore solidarietà fiscale. È una delle ricette contenute nel Rapporto, come ricordato da mons. Giuseppe Pasini, presidente della Fondazione Zancan, che ha denunciato le profonde disuguaglianze in Italia, dove ‘il quinto delle famiglie con i redditi più bassi percepisce solo il 7% del reddito totale’ mentre ‘il quinto delle famiglie con il reddito più alto percepisce il 40,8% del reddito totale’. Mons. Pasini ha invitato a ‘ristabilire un equilibrio organico, che consenta a tutti di fruire di sufficienti risorse e di offrire il proprio contributo. Non si tratta di un’operazione indolore – ha osservato -. Essa comporta rinunce a privilegi ingiustificati da parte di tutti, dei cittadini garantiti e anche da quelli in disagio ma meno sfortunati di altri; la creazione di nuove scale di priorità nella spesa pubblica da parte dello Stato e degli enti locali, rinunciando a scelte forse utili ma non essenziali, per destinare le risorse a chi è privo del necessario; l’assunzione di nuovi stili di vita improntati alla sobrietà ed escludenti sprechi ed esibizioni sfacciate di lusso’. Secondo mons. Pasini ‘dobbiamo trarre lezione dall’attuale crisi economica-finanziaria: per risolverla non si è tardato a sconvolgere alcuni fondamenti ideologici del sistema capitalistico, che sembravano inamovibili e dogmatici. Se si vuole veramente il ‘bene comune’, un analogo ripensamento va fatto anche in rapporto alla società’. Tiziano Vecchiato, direttore della Fondazione Zancan, ha fornito cifre inequivocabili: ‘Si può dare risposta alla povertà senza aumentare la spesa pubblica complessiva per la protezione sociale (366.878 milioni di euro) e senza aumentare la spesa per l’assistenza sociale (circa 47 miliardi di euro nel 2007)’. Ad esempio, ha suggerito, ‘è possibile destinare ad un diverso utilizzo parti rilevanti della spesa per assistenza sociale, oggi destinata alla persone non autosufficienti e alle famiglie di lavoratori con figli’. Anche se, ha ammesso, ‘non è per niente facile, perché chi oggi beneficia dei trasferimenti pubblici e ne ha fatto una fonte di reddito non è disposto a rimettere in discussione i diritti acquisiti, anche se ragioni di equità portassero a riconoscere il contrario’.