I teli della morte diventano i segni della vita

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Oscar Battaglia Domenica di Pasqua - anno B

Alcuni Padri antichi hanno paragonato il sepolcro, con i suoi teli bianchi, a un letto nuziale dove nasce la nuova vita. La grotta richiamava il grembo fecondo della terra che, aprendosi, genera la vita dei risorti: quella di Gesù, la primizia, poi quella dei credenti di tutti i tempi. Davanti al sepolcro vuoto possiamo cantare, con il Salmo 87: “Tutti là sono nati. Si dirà di Sion: ‘L’uno e l’altro è nato in essa’. Il Signore scriverà nel libro dei popoli: ‘Là costui è nato’. E danzando canteranno: ‘Sono in te tutte le mie sorgenti'”. Qui tutti siamo nati! Quella tomba, luogo della morte, divenne per noi sorgente della vita.

Il racconto che oggi leggiamo ci riporta alle origini della nostra fede e del cammino della Chiesa. Inizia con un’annotazione temporale: “Il primo giorno della settimana”. Secondo l’uso ebraico, la settimana si concludeva con il sabato, giorno di riposo. Il Figlio di Dio nel sepolcro si è riposato dalla fatica del suo apostolato itinerante e dal peso della croce. L’opera che il Padre gli ha affidato è stata portata a termine. Ora inizia un nuova settimana, nella quale il Verbo creatore dona la vita eterna agli uomini con un nuovo soffio creatore. Tutto ricomincia da capo in modo nuovo. Perciò Paolo griderà ai cristiani di Corinto: “Se Cristo non è risuscitato, è vuota la nostra predicazione ed è vuota anche la vostra fede; voi siete ancora nei vostri peccati e coloro che sono morti in Cristo sono perduti” (1 Cor 15,14s).

La negazione della risurrezione cancella in un sol colpo quel primo giorno della settimana, che noi chiamiamo “giorno del Signore” (dies dominica). Ma quel giorno, tappa settimanale della nostra vita, è lì da duemila anni a narrarci che Cristo nostra vita è risuscitato, e noi con lui. A dare il primo segnale della vita non poteva essere che una donna: è iscritto nella sua natura di madre, è scritto nel racconto di Pasqua. Maria Maddalena è andata al sepolcro la mattina presto precedendo le altre donne; vuole essere sola a piangere il suo dolore. Da quella sera del venerdì, quando il sepolcro fu chiuso, non si è data pace. Ora non può più aspettare. L’evangelista ci avverte che è ancora buio quando lei esce di casa. In realtà sta spuntando l’alba, ma dentro di lei e nel cuore dei discepoli c’è ancora buio fitto. Non si è fatto giorno per loro, anche se, dietro il monte degli Ulivi, “sta spuntando il sole”, annota Marco (16,2).

Maddalena non lo sa, ma Gesù è già (ri)sorto. È lei a scoprire la tomba spalancata e vuota. Eppure due sere prima era stata sigillata accuratamente e vigilata da un picchetto di soldati (Mt 27,61-66). Ha un tuffo al cuore! Sbircia dentro e vede che il corpo di Gesù è sparito. Non ci pensa due volte, e corre subito a darne notizia a Pietro e Giovanni, gli unici due che avevano seguito Gesù nel processo e nella passione ed erano tornati a casa insieme. Gli altri si erano dispersi e dileguati (Gv 16,32). Ora la notizia conturbante del furto del suo cadavere costringe i due apostoli a uscire dal loro nascondiglio e a recarsi in tutta fretta al sepolcro. Corrono ambedue, sia pure con passo diverso, come accade sovente. Sant’Agostino interpreta il fatto come un simbolo: chi più ama, più corre. Giovanni è il discepolo dell’amore, è naturale che arrivi per primo. Getta un primo sguardo fugace nel sepolcro, senza entrare.

L’educazione gli suggerisce di dare la precedenza a Pietro, riconosciuto il primo degli apostoli. Quando Pietro arriva, entrano ambedue e perlustrano accuratamente l’ambiente. Il sepolcro è una grotta scavata nella roccia, chiusa con masso rotante simile ad una macina da mulino, fatto scorrere in un incavo davanti all’ingresso, piuttosto basso, dove per entrare bisognava curvarsi. La grotta aveva due piccoli ambienti ancora oggi distinguibili al Santo Sepolcro: una specie di atrio che serviva per la preparazione del cadavere e la stanza sepolcrale. Qui il cadavere di Gesù era stato posto su un bancone di pietra, all’interno di un arco scavato nella roccia sul lato destro. Pietro e Giovanni si accorsero subito che alcuni indizi escludevano il furto di cadavere, che la legislazione romana puniva come reato grave già dal tempo di Augusto. Aveva torto dunque la Maddalena a parlare di furto. Era pensabile che, se ci fossero stati i ladri, avrebbero portato via il cadavere nudo? E avrebbero lasciato sul posto quelle stoffe preziose, senza pensare all’utile che ne potevano ricavare? Sarebbe stato da stolti o da gentiluomini perdere tempo a riordinarli accuratamente e a piegare a parte il sudario che era sul capo.

Il breve elenco dei panni mortuari richiama la scena della risurrezione di Lazzaro, che uscì dal sepolcro avvolto da quegli stessi teli (Gv 11,44). Ma si trattava di un miracolo diverso da quello avvenuto qui. Tutto induceva a pensare che Gesù fosse risorto lasciando sul posto l’involucro della sua salma. Quei teli, insieme al sepolcro vuoto, erano i primi testimoni del Signore risorto. Egli era passato dalla morte alla incorruttibilità, la sua umanità aveva assunto le caratteristiche dei corpi celesti. Così era potuto passare attraverso quei teli senza scomporli, come più tardi entrerà nel Cenacolo a porte chiuse. Non era semplicemente tornato alla vita di prima: era entrato in una vita nuova, che aveva dimensioni e caratteristiche diverse dalla nostra vita mortale, pur conservando i segni della sua natura umana, però trasfigurata.

I segni straordinari di quella prima mattina di Pasqua interpellarono personalmente i due discepoli e li indussero a ripensare alle profezie di Gesù sulla sua morte e risurrezione. Giovanni, vedendoli, giunse subito alla fede nel Risorto: “Vide e credette”. Aveva lo sguardo più acuto. Pietro, più simile a noi, rimase ancora una volta indietro. Avrà bisogno di un’apparizione a lui riservata per credere in modo sicuro (Lc 24,34). Viene subito in mente la beatitudine espressa da Gesù a Tommaso, anche lui tardo a capire e a credere: “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!” (Gv 20,29). Proprio come Giovanni, che vide appena alcuni segni e credette, senza vedere direttamente il Risorto. Quella beatitudine è rivolta a tutti noi che riviviamo nel segno del sacramento quel primo evento pasquale.

È la fede nella risurrezione di Gesù che ci salva, anche perché è garanzia della nostra risurrezione finale, come la enunciamo nel Credo ogni domenica: “Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà”. Oggi siamo davanti a quella tomba vuota in attesa che si aprano tutte le altre tombe del mondo, anche la nostra futura tomba, per essere finalmente tutti cittadini di quella città dove non ci sarà più lutto, né dolore, né pianto.

AUTORE: Oscar Battaglia