La festa della Trasfigurazione (6 agosto) e quella dell’Esaltazione della croce (14 settembre) hanno una data fissa. Quando cadono di domenica, come accade quest’anno per la prima di queste ricorrenze, la liturgia della festa prevale su quella domenicale. Ecco che allora oggi si interrompe la lettura continua del cap. sesto del Vangelo di Giovanni, iniziata la scorsa domenica, e si proclama il testo marciano che narra l’episodio, Mc 9,2-10.In genere il racconto viene letto nella prospettiva dell’impatto che esso ha nei confronti dei discepoli (Pietro, Giacomo e Giovanni), che assistono agli eventi: essi, infatti, colmi di stupore, vengono descritti nel loro interrogarsi sul senso delle parole di Gesù al termine dell’accaduto (“Ed essi tennero per sé la cosa, domandandosi però che cosa volesse dire risuscitare dai morti”, v. 10), oppure, ancora, è Pietro ad intervenire non sapendo però cosa dire (cfr. v. 6), incapace di interpretare l’evento.
In questo modo si sottolinea il fatto che il Cristo – attraverso la sua trasfigurazione – mostra di sé un volto splendente in preparazione alla sua croce. Si rileva anche, magari, che l’episodio è propedeutico per i discepoli, perché questi si rafforzino in vista della persecuzione del Maestro e si preparino alla sua morte. Vi è però anche un’altra strada che possiamo percorrere per interpretare il nostro testo, quella che si sofferma piuttosto sui due protagonisti (insieme a Gesù) della bellissima visione: Mosè ed Elia. In genere sono tenuti sullo sfondo, ma la loro funzione nella logica del brano è importante. Già il geniale scrittore ecclesiastico Origene intendeva le figure di Mosè ed Elia non semplicemente come i rappresentanti della Legge e dei profeti (del Primo Testamento), ma in senso più ampio: “Attraverso il procedimento della sineddoche, Gesù sta conversando non solo con un profeta, ma, simbolicamente, con tutti i profeti” (Commento a Matteo 12,38).
Ciò comporta, possiamo aggiungere noi, che tutta la Parola di Dio proclamata “nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente” come scritto nella Lettera agli Ebrei (1,1), “in questi giorni”, è stata compiuta e di nuovo proclamata in Gesù. Giovanni Crisostomo (Omelia 56 sul Vangelo di Matteo), invece, sottolinea il fatto che tutti e due i profeti con cui si intrattiene Gesù, Mosè ed Elia, hanno dovuto superare gravi ostacoli nella loro vita. Leggiamo: “Tutti e due resistettero coraggiosamente a dei tiranni. Il primo all’egiziano [il faraone], l’altro ad Acab, e questo a favore di un popolo ingrato e disobbediente. E tutti e due erano uomini semplici e non istruiti. Uno era lento con la parola, e debole di voce, l’altro era un rozzo contadino. Tutti e due disprezzarono le ricchezze del mondo, perché Mosè non possedeva nulla, ed Elia aveva solo il suo gregge”.
Pur nell’ingenuità di alcune sfumature, cogliamo un dato significativo. Questi due grandi uomini sono stati messi alla prova, ed hanno sofferto molte tribolazioni. E tale interpretazione è molto antica, come spiega bene l’esegeta M. Grilli: “Nella tradizione ebraica Elia e Mosè erano considerati come profeti che avevano sofferto la persecuzione e, nella sofferenza, avevano fatto esperienza dell’intervento salvifico di Dio. Elia dovette fuggire nel deserto a motivo della persecuzione scatenata contro di lui dalla regina Gezabele e un libro apocrifo interpreta lo stesso rapimento in cielo di Elia come un salvataggio dalla persecuzione. Anche Mosè è stato visto dalla tradizione ebraica come un profeta sofferente che espia i peccati del suo popolo. In una tradizione conservata anche nella Lettera agli Ebrei (11,26), Mosè è il profeta salvato dalle mani del faraone e di coloro che volevano la sua morte. Elia e Mosè, dunque, testimoniano la presenza del Dio salvatore nel destino di morte inferto dagli uomini ai suoi inviati; testimoniano l’intervento di Dio nella passione di Gesù, il profeta escatologico”.
Si apre allora un quadro molto utile per comprendere le prove della vita del Messia, ma anche le nostre. Gesù sta a colloquio con i due profeti e, come ci dice il Vangelo secondo Luca (9,31), parla con loro dell’esodo che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme, ovvero della sua dipartita da questo mondo. Gesù si trova, insomma, in buona compagnia, perché Elia e Mosè sono già passati per quella stessa sofferenza e per la persecuzione di cui anche Gesù sarà, a breve, oggetto. Per noi, la trasfigurazione del Figlio dice che anche il nostro dolore può essere trasformato. Sappiamo che il verbo greco per dire quanto accade a Gesù, tradotto alla lettera, significa che egli fu trasformato davanti a loro, e in questo “passivo teologico” è Dio il soggetto dell’azione. Il racconto, l’abbiamo notato, finisce con un accenno alla risurrezione. Lo stesso avvenga a noi, che le nostre prove siano trasformate in pace e servano alla salvezza nostra e di tutti, e portino ad una vera risurrezione dalla sofferenze.