I primi sette giorni di Gesù

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Bruno Pennacchini II Domenica del tempo ordinario - anno A

San Giovanni evangelista, come molti sanno, dà inizio al Vangelo con un prologo (1,1-18), cui fa seguire una settimana inaugurale con cui introduce la vita pubblica di Gesù (1,19-2,21); a somiglianza, in qualche modo, della settimana in cui il libro della Genesi schematizzava letterariamente il Principio dei tempi (Gen 1,1-2,3). Ecco come procede lo scritto dell’evangelista. Dopo aver detto che la Parola si è fatta carne, aggiunge: “Noi ne abbiamo visto la Gloria”. A questa visione i discepoli giungeranno progressivamente, guidati dalla testimonianza del Battista, che subito cominciò con l’assicurare chi lo interrogava in proposito, di non essere lui la Parola, sebbene amministrasse un battesimo di conversione; egli era solamente una voce che la veicolava.

La Parola vera era in arrivo (Gv 1,23). Primo giorno. Il giorno dopo (1,29), scrive l’evangelista, il Battista vede venire Gesù e lo indica al gruppo dei discepoli come l’Agnello di Dio, su di lui egli ha visto posarsi lo Spirito di Dio. Ripetutamente preciserà che la sua testimonianza non è basata su precedenti conoscenze, ma solo sulla rivelazione di Colui che lo aveva inviato a battezzare (1,33). Secondo giorno. Il giorno dopo (1,35) due suoi discepoli, incuriositi dalle parole del maestro, cominciano seguire Gesù e si fermano a casa sua. Ai due rapidamente se ne aggiunge un terzo, Simon-Pietro. Con questo gruppetto di tre uomini ha inizio la storia della Chiesa. Terzo giorno. Il giorno dopo (1,43) se ne aggiunge un quarto, Filippo, e poi a catena un quinto, Natanaele che confessa Gesù Figlio di Dio e Re di Israele. Quarto giorno. Il “terzo giorno” vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea (2,1): siamo dunque al settimo giorno. Quasi un nuovo Sabato, destinato a segnare il Principio dei tempi nuovi. Gesù cambia l’acqua in vino. I discepoli assistono stupiti a questo primo segno. Il cerchio si chiude: i discepoli contemplano già concretamente la sua Gloria. “E credettero in lui” (2,11).

Questo è il contesto in cui fu scritto il Vangelo che si legge in questa seconda domenica del tempo ordinario; quasi un ponte fra i giorni natalizi e quelli ordinari. Una domanda si dovettero porre subito i discepoli del Battista, quando guardarono nella direzione indicata del maestro: chi è costui? Anche la prima generazione cristiana si dovette domandare: chi è Gesù? La stessa domanda ci poniamo noi oggi: chi è Gesù? L’evangelista Giovanni sintetizzò la risposta in queste poche righe: egli l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo; egli è il Forte, il Preesistente su cui si è posato le Spirito santo, il Figlio prediletto del Padre. Formula breve che esprime anche il mistero della santa Trinità. L’Agnello di Dio. Sebbene molti di noi ascoltino ogni giorno questa proclamazione, durante la celebrazione dell’eucaristia, dubito che ne afferriamo appieno lo spessore.

Per gli ascoltatori della predicazione del Battista essa era invece immediatamente ricca, molteplice, chiarissima. L’immagine dell’agnello li rimandava spontaneamente all’agnello pasquale, quello che fu immolato la notte in cui i padri furono sottratti alla schiavitù dell’Egitto e che ogni anno anche loro immolavano, facendo rivivere il momento archetipo in cui il popolo cominciò ad esistere, libero. Ma l’immagine dell’agnello rimandava la loro mente anche alla vittima che ogni giorno era immolata nel tempio di Gerusalemme, per i peccati di tutti, verso sera. C’era anche un’altra risonanza spontanea: il profeta Isaia aveva scritto di un Servo sofferente carico di tutte le malefatte del mondo, e per questo era stato condotto al supplizio come un malfattore al posto di tutti noi; ma lui non si era ribellato e come un agnello non aveva aperto bocca. Colui che toglie il peccato del mondo. Di quale peccato si parla? Non certo di una particolare trasgressione. E nemmeno forse dell’insieme di tutte le trasgressioni dell’umanità. Ma piuttosto di quella realtà storica o di quello stato di fatto per cui il mondo si oppone a Dio.

L’evangelista aveva detto nel prologo al Vangelo: “Egli è venuto nel mondo, ma il mondo non lo ha riconosciuto”. Il nostro peccato di fondo sta nel non riconoscere il primato di Dio, presente nella storia. Tutto il resto ne è la conseguenza: i deboli e i poveri che sono schiacciati; uomini, donne e bambini che soffrono la fame; migliaia di disgraziati scacciati dalla loro patria; ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri… Dell’Agnello il Battista dice che toglie il peccato. La parola originale greca, che è dietro alla voce italiana “toglie”, non ha il semplice valore di eliminare o spazzare via, ma piuttosto di alzare, sollevare per caricarsene. Il profeta Isaia del Servo sofferente dice: “Il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di tutti noi. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui” (53,5-6). Chi è dunque Gesù? L’evangelista risponde che è Colui che si è caricato del fardello delle nostre malefatte e dei relativi, meritati castighi.

AUTORE: Bruno Pennacchini Esegeta, già docente all'Ita di Assisi