Al centro del Vangelo di oggi c’è la chiamata dei primi quattro discepoli. Sembra strano che il racconto sia così stringato, schematico e avaro di particolari, a noi che ne vorremmo sapere di più su un evento così importante per la storia di Gesù e della Chiesa. Sulle rive dal mare di Galilea nasce la comunità cristiana, come sulle rive del “Mare dei giunchi” (Mar Rosso) nacque l’antico popolo di Dio. Gli schemi di Dio si ripetono e Matteo, da buon ebreo, è pronto decifrarli. Il racconto è volutamente schematico perché divenuto ormai prototipo di ogni chiamata alla sequela di Cristo. Anche per questo motivo non ci viene raccontata la chiamata di tutti dodici gli apostoli. Non c’è spazio per la curiosità.
Il numero 4 per gli ebrei antichi indicava l’universalità, perché faceva riferimento ai quattro punti cardinali della terra. In questa chiamata alla fede e alla sequela c’è dunque la storia di tutti noi seguaci di Cristo. Perciò è importante scandagliarne il significato nei piccoli particolari che ci propone. Scopriremo il modo di agire di Dio. Il racconto inizia con un’inquadratura storico-geografica e profetica: il Battista è stato imprigionato da Erode Antipa nella fortezza di Macheronte, vicino al luogo dove egli battezzava. Così termina la sua missione. Da questo momento inizia la missione di Gesù, che Giovanni aveva preparato. E stranamente inizia in Galilea e non sulle rive del Giordano.
Dopo un breve soggiorno a Nazareth, egli si stabilisce Cafàrnao, una stazione importante sulla “via del Mare”, una strada commerciale di primo piano, che congiungeva la Mesopotamia all’Egitto, passava per Damasco, Cafàrnao, la piana di Esrelon e proseguiva lungo la riva del Mediterraneo verso sud. Nessuno in Israele si sarebbe mai aspettato che il Messia iniziasse dalla Galilea, regione ritenuta mezza pagana, perché abitata da una popolazione mista fin dal tempo di Tiglapileser III che nel 734 a.C. vi aveva deportato genti pagane. Il fatto che Gesù vi svolgesse gran parte del suo ministero costituiva un ostacolo al riconoscimento della sua qualità di Messia (Gv 7,41.52). Ma Dio non la pensa così, i suoi piani misteriosi erano già stati rivelati al profeta Isaia, che ne parlò annunciando un bambino-re che sarebbe apparso proprio nella terra di Zabulon e di Neftali (Is 8, 23-9,6).
Nazareth era proprio nel territorio della tribù di Neftali, e Cafàrnao in quello delle tribù di Zabulon. Era come l’accendersi di una luce per quei popoli che vivevano nelle tenebre del semi-paganesimo. A Cafàrnao Gesù stabilì il suo quartier generale in casa di Simon Pietro, e qui cominciò a predicare il suo Vangelo, riprendendo alla lettera il discorso del Battista (3,1), così violentemente interrotto: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino” (v 17). La formula “regno dei cieli”, tipica di Matteo, è una metafora per dire “regno di Dio”. La loro sensibilità religiosa induceva gli ebrei a nominare il meno possibile il nome di Dio per paura di contaminarlo. Proprio da questo annuncio iniziale nasce la chiamata dei primi discepoli. La proclamazione del regno dei cieli sarà, d’ora in poi, al centro della predicazione di Gesù, sarà il suo “annuncio gioioso”, il suo “vangelo”.
Dio sta esercitando in Gesù la sua sovranità salvifica contro il male del mondo, l’ignoranza, il peccato, le malattie, il demonio, come è descritta alla fine del nostro brano, dove si racconta l’attività taumaturgica di Cristo in Galilea (v. 23). L’unica inderogabile esigenza per accettare la sovranità salvifica di Dio è la conversione come è descritta nel racconto di chiamata dei primi discepoli. Il teatro dell’azione è il lago di Genezaret, dove si svolgerà di preferenza la missione di Gesù. Si ha l’impressione che l’incontro con i pescatori che vi lavorano sia casuale, in occasione di una passeggiata lungo la riva. In realtà tutto è programmato nelle sue linee essenziali. Per Dio nulla è casuale e improvvisato. L’incontro-chiamata è scandito da alcuni verbi significativi: camminava, vide, dice. Quello di Gesù fu un ministero itinerante che giustifica l’invito alla sequela, un invito a camminare con lui sulle vie del mondo ininterrottamente.
Il participio del verbo fa di lui un “ambulante” perenne, che camminava e cammina ancora. Chi lo segue si ferma dove si ferma lui, sulla croce e in cielo, dove finalmente siede alla destra del Padre. Il suo ministero è itinerante, ma non distratto. Il suo “vedere” è un aoristo storico: indica che ‘si fissò’ in modo puntuale su quegli uomini al lavoro, come in ogni tempo penetra in profondità nel destino di ciascuno e lo rivela. Ognuno si sente conosciuto, amato, programmato. Nessuno nasce a caso, in maniera sbagliata. Tutti nasciamo al momento e al posto giusto, basta scoprirlo. Gesù, guardando le due coppie di fratelli al lavoro, indica loro la strada giusta per loro: “Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini” (v. 19). Il verbo “dire” è al presente, perché è usato in ogni incontro lungo il tempo della Chiesa.
La chiamata di ciascuno nasce dalla Parola di Dio, lampada ai passi dell’uomo (Sl 119,105). È una parola sempre creatrice, opera ciò che dice: “Vi farò pescatori di uomini”. Credere a questa parola e accettarla in maniera incondizionata è vera conversione. E la risposta dei fratelli pescatori è pronta e totalizzante, un miracolo che Dio solo sa fare. Nella chiamata di due coppie di fratelli che si mettono insieme alla sequela di Gesù, c’è già l’indicazione che sta nascendo una comunità basata su una nuova fratellanza. La Chiesa è una comunità di fratelli, una famiglia spirituale legata dal dono della stessa vita divina comunicata da Cristo. In questa comunità ognuno assume per amore i compiti particolari che Dio gli assegna. La sequela, prima di esser una scelta, è una chiamata, cioè un puro dono di Dio, non guadagnato né meritato. È lui che ci fa, non ci facciamo da soli. Condizione è l’obbedienza della fede, un’obbedienza pronta e incondizionata, come è descritta nel ritornello che descrive l’atteggiamento delle due coppie di fratelli: “essi subito, lasciate le reti (e il padre), lo seguirono” (vv. 20.22).