Da giovedì a sabato i rappresentanti (oltre cento) di organizzazioni e associazioni impegnate nella difesa dei diritti umani, hanno partecipato all’Onu dei Popoli. Tre giornate in cui il grido dei popoli oppressi e vittime delle guerre, è risuonato nel cuore della città, Perugia. Abbiamo raccolto alcune testimonianze per dare la possibilità, anche a chi non ha potuto partecipare, di conoscere alcune delle tragedie vissute da interi popoli ma anche l’impegno di migliaia di persone per la pace, credenti e non credenti uniti nel richiedere per tutti gli uomini e le donne del pianeta il riconoscimento dei fondamentali diritti umani: alla vita, alla libertà di pensiero, al rispetto della pripria dignità.Il volto affaticato emerge dal pesante maglione grigio in lana è di mons. Daniel Adwok, vescovo ausiliare di Khartoum (Sudan) e amministratore apostolico di Kosti. E’ in Italia su invito di Pax Christi per portare testimonianza della situazione degli abitanti del Sudan, in maggioranza cristiani, oppressi dal governo guidato da musulmani. Prima di essere un conflitto tra gruppi religiosi, quella del Sudan è una lotta per il controllo dei territori del sud, ricchi di petrolio. Alla comunità internazionale mons.Daniel Adwok chiede che entri nel processo per la pace nel Sudan, che si faccia un “ponte” tra il governo sudanese e il movimento dei guerriglieri. “Il Sudan è stato abbandonato – dice mons. Adwok – nessuno se ne cura. L’unica possibilità di pace è costringere il Governo sudanese e i guerriglieri a sedere e parlare di pace. E’ quello che mi auguro facciano presto le Nazioni unite. I vescovi sudanesi chiedono incessantemente uno stop allo sfruttamento petrolifero finché non ci sia pace, il cessate il fuoco e un accordo politico che rispetti il pluralismo nel paese: il conflitto va risolto in maniera politica”. Mons.Adwok parla bene l’italiano ed ha potuto seguire le polemiche che hanno accompagnato la marcia della pace e il confronto sull’intervento Usa in Afganistan. Sa bene cosa sta accadendo e che oggi la priorità deve essere data alla situazione afgana e palestinese, ma cita il detto latino “vox populi vox dei” per chiedere più attenzione alle centinaia di conflitti in atto nel mondo. “Dobbiamo arrivare al punto in cui i governi possono in poco tempo riconoscere questa voce e prendere posizione in merito alla voce dei popoli rispettando la dignità delle persone che parlano e vogliono un po’ di cambiamento. Ci dovrebbe essere un dialogo tra governi e popoli e un forum come questo (l’Onu dei Popoli, n.d.r.) potrebbe essere l’organo capace di iniziare questo dialogo”. Al suo appello si aggiunge quello di padre Emmanuel Joseph Seemampillai, dello Sri Lanka, che ha partecipato all’Onu dei Popoli per portare l’appello di pace del popolo Tamil, minoranza perseguitata dalla maggioranza Singalese, il 74% dei 17 milioni di abitanti dell’isola a sud dell’India. Da quattro anni vive in esilio in Germania. E’ stato vicario generale della diocesi dello Sri Lanka e rettore del seminario maggiore dove ha insegnato teologia per 25 anni. E’ vittima e testimone della guerra che dura da più di 20 anni provocando 80mila morti e 800mila rifugiati in tutto il mondo. Ha deciso di testimoniare al mondo la verità sulla situazione del suo Paese e di testimoniare contro il Governo a maggioranza singalese. Per lui è una scelta al servizio della verità, in nome di Cristo. Padre Seemampillai accusa il Governo di “terrorismo statale” il Governo guidato da singalesi “integralisti buddisti” che vorrebbero fare del buddismo l’unica religione. Hanno fatto dei Tamil, di religione indù, dei cittadini di seconda classe, perseguitando anche i cristiani Tamil. Alla comunità internazionale chiede che “conoscendo la verità della storia dei nostri popoli dia giustizia, non privilegi ma diritti umani per vivere nel nostro paese”. E chiede anche che cessino gli aiuti militari al Governo. Gli Usa e alcuni paesi europei, fra cui l’Italia, forniscono armi e aerei al regime, senza tener conto dell’uso che ne fa contro i gruppi terroristi che dopo trent’anni di opposizione pacifica ma inefficace all’oppressione singalese, sono passati alla resistenza armata. Il nostro testimone ha cercato di portare all’Onu la causa del popolo Tamil nello Sri Lanka ma l’esito non è stato positivo. “Noi Tamil non siamo uno stato quindi non abbiamo voce all’Onu. Abbiamo cercato un dialogo di pace con l’aiuto del governo norvegese, abbiamo accettato un “cessate il fuoco” ma dopo quattro mesi il governo ha bombardato ancora”. Dell’Europa dell’Est è testimone Zanaip Gachaeva, dalla Cecenia, co-presidente dell’associazione “Donne per la pace” che collabora con famiglie russe per insegnare ai propri figli i valori del dialogo e della pace nonostante il perdurare della guerra e della repressione contro il terrorismo da parte delle truppe di Mosca. In due anni, ricorda Gachaeva, “in Cecenia sono morti 80.000 civili, per non parlare di tutti i feriti, i mutilati, le vedove, i bambini orfani”. “Se è vero che esiste il terrorismo – afferma – è anche vero che per combatterlo bisogna saperlo separare dalla popolazione innocente. Altrimenti si raggiunge il solo scopo di creare odio in tutto il popolo”. “Uno dei gravi problemi dei bambini ceceni è aver visto soldati russi che distruggevano i loro familiari. Noi non vogliamo che i nostri figli crescano con questi sentimenti di risentimento, per cui abbiamo creato una rete di famiglie russe disposte ad adottare famiglie cecene”.
I popoli oppressi dai conflitti chiedono pace e diritti umani
Le testimonianze raccolte tra i partecipanti all'Onu dei popoli
AUTORE:
Maria Rita Valli