Siamo a metà del Vangelo di Marco, quando l’evangelista introduce una svolta nell’itinerario di fede che sta disegnando dal battesimo di Gesù, alla mattina radiosa della sua pasqua di risurrezione. È un cammino che gli apostoli hanno seguito con fatica e con tanti interrogativi addosso. Oggi Gesù propone loro un cambiamento decisivo di mentalità; rivoluziona le idee che si erano fatte finora di lui. E lo fa partendo da una specie di inchiesta che propone loro: “Che dice la gente di me? E voi che ne dite?”. Circolavano su Gesù le opinioni più varie e più strane, come oggi, quando viene proposta una varietà di immagini deformate, che contaminano anche coloro che pure si dicono credenti. Da tre secoli circa si è scatenata una gara di interpretazioni, le più varie e strane sulla persona di Cristo, in contrasto con la figura presentataci dal vangelo.
Ognuno sembra volersi fabbricare un Gesù fatto in casa con gli ingredienti che la cultura imperante di volta in volta gli fornisce. È sempre un Gesù di comodo, adattato alle nostre esigenze troppo umane e ai nostri capricci. Un Gesù annacquato, innocuo, tuttalpiù romantico e filantropo, niente affatto impegnativo. Gesù non si inventa, si riceve dal vangelo e dalla tradizione apostolica. Gli apostoli furono gli unici testimoni oculari di lui, e solo loro sono abilitati a parlarcene con obbiettività. Anche perché, durante la loro vita accanto a Gesù, hanno dovuto correggere con fatica le loro opinioni sbagliate o parziali su di lui, come ci racconta il vangelo di oggi.
La narrazione di Marco è ambientata nell’estremo nord della Galilea, nella regione pagana di Cesarea di Filippo, la capitale del regno di Erode Filippo, figlio di Erode il Grande. Sulle strade di quella terra pagana, Gesù interroga a bruciapelo i discepoli che lo seguono. Quello che gli apostoli stanno compiendo non è solo un viaggio locale, è un itinerario di fede. Siamo vicino alle sorgenti del Giordano, quel fiume che nel suo corso inferiore, molti chilometri più a sud, vide la prima presentazione di Gesù da parte di Dio Padre: “Tu sei il Figlio mio, l’amato, in te mi sono compiaciuto” (1,11). È come un richiamo alle origini dell’esperienza. Vuole verificare l’incisività della sua azione, quale impressione abbia suscitato sulle folle e sui suoi seguaci. Perciò domanda: “La gente chi dice che io sia?”. Affiorano una serie di opinioni diffuse, che già il vangelo aveva rilevato (6,14-16) e che erano presupposte nella formulazione della domanda posta di Gesù.
Dopo la carrellata di convinzioni popolari scontate, la domanda di Gesù si fa allora più personale: “Ma voi, chi dite che io sia?”. Qui l’interrogazione diventa impegnativa. “Ma voi” (in greco ymeis dè), sta ad indicare che Gesù si aspetta da loro una risposta più precisa e puntuale, dopo la conoscenza ravvicinata che hanno fatto alla sua sequela. Pietro, a nome di tutti, dà la risposta giusta, anche se ancora parziale e incompleta: “Tu sei il Cristo”, cioè “il Messia” annunciato dai profeti e atteso da secoli da tutto il popolo d’Israele. La dichiarazione di Pietro nasce dall’esperienza che gli apostoli hanno potuto fare durante il ministero di Gesù in Galilea, ascoltando i suoi insegnamenti e vedendo i suoi miracoli. Perciò la risposta che danno per bocca di Pietro è un passo avanti nei confronti delle opinioni superficiali dalla gente che identificava Gesù con Giovanni Battista, con Elia, o con la figura più generica di un profeta. A questa prima dichiarazione, manca ancora la seconda parte della confessione completa cristiana: “Tu sei Cristo, il Figlio di Dio”. Proprio perché la dichiarazione di Pietro era ancora incompleta e poteva essere fraintesa, Gesù proibisce agli apostoli di propagarla. Essa partecipava delle aspettative politico-religiose degli ebrei del tempo, che avevano suscitato già troppe sommosse nazionali, subito represse dai romani.
Gesù inizia proprio da qui a spiegare il tipo di messianismo che intende realizzare. Esso è anticipato e sintetizzato già dalla prima lettura ascoltata oggi nella liturgia, che riporta il terzo canto del Servo del Signore perseguitato e disprezzato, come lo vide il profeta Isaia settecento anni prima (50,5-9). L’evangelista illustrerà quel concetto in tutta la seconda parte del suo vangelo con tre annunci della passione sempre più dettagliati (8,31s; 9,31s; 10,33s). La sua nuova istruzione si apre con queste parole: “E cominciò ad insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato, venire ucciso e dopo tre giorni risorgere”. Mentre poco prima aveva proibito ai discepoli di dire in giro che egli era il Cristo, ora invece parla del suo destino apertamente e solennemente, perché è proprio questo è il mistero della sua persona più difficile da accettare.
Quanto sia ostica e scandalosa questa verità, lo dice la reazione di Pietro, che, inorgoglito dalla confessione appena enunciata, si sente in dovere di rimproverare Gesù per quello che ha detto. Lo prende in disparte come per fargli rimangiare, almeno privatamente, le sue dichiarazioni così sconvolgenti. Anziché smentirsi, Gesù respinge apertamente il tentativo di Pietro e dichiara davanti a tutti: “Vai dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”. L’atteggiamento di Pietro gli richiama alla memoria le tentazioni del demonio all’inizio della sua vita pubblica: anche Satana allora tentò di distoglierlo dalla volontà di Dio prospettandogli le vie umane di un sicuro successo. Forse è questo il momento in cui Gesù decise di raccontare in forma scenica le tentazioni demoniache che aveva subito allora. Pietro, come allora il diavolo, pretendeva di insegnare a Gesù quel che doveva fare, voleva fargli da guida con sfacciata presunzione. Gesù se lo toglie dai piedi con un netto comando che rimette Pietro al suo posto: “Vai dietro a me e seguimi”. Come a dire: “Rientra nei ranghi, non frapporti tra me e Dio. Solo il Padre ha il diritto di farmi da guida, perché io sono venuto a fare la sua volontà, non quella degli uomini”.
Questo ci fa capire quanto siamo saccenti e presuntuosi anche noi quando vogliamo piegare Gesù alle nostre piccole vedute umane, quando lo vorremmo diverso da quello che è, quando tentiamo di insegnargli il mestiere di salvatore e dettargli ciò che deve fare per salvare noi e il mondo. Egli chiede a noi e a tutti di seguirlo con fiducia, di operare in noi un capovolgimento di idee, rinnegando i nostri interessi egoistici e accettando umilmente e con fede la volontà di Dio nella croce di fatica e di sofferenza che la vita ci riserva.