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Come accade ogni tre anni, la Giornata del malato sarà in versione speciale, con un grande evento internazionale. Nel suo Messaggio il Papa ricorda alcune persone tra le tante che “nella storia della Chiesa hanno aiutato le persone malate a valorizzare la sofferenza sul piano umano e spirituale”. Tra questi madre Teresa di Calcutta, Raoul Follerau e il fondatore del Centro volontari della sofferenza, mons. Novarese, di cui ci parla un testimone che lo ha conosciuto.
Prossimi a chi soffre, come il Samaritano
Il Buon Samaritano: ‘Va ed anche tu fa lo stesso’” è il tema della 21a Giornata mondiale del malato che verrà celebrata l’11 febbraio presso il santuario di Nostra Signora di Altötting, in Baviera (Germania). “Dalla prima Giornata mondiale del malato celebrata a Lourdes nel 1993 per iniziativa del beato Giovanni Paolo II – ha ricordato mons. Jean-Marie Mupendawatu, segretario del Pontificio consiglio per gli operatori sanitari – i principali santuari mariani del mondo e alcune città-simbolo sono stati testimoni dell’attenzione della Chiesa per chi soffre”. Tra i luoghi-simbolo scelti nel corso degli anni: Czestochowa (1994), Fatima (1996), Loreto (1998) e poi Sydney (2001), Washington (2003), Adelaide (2006), Seul (2007). “Per volontà di Benedetto XVI – ha aggiunto – dopo Seul, le Giornate mondiali vengono celebrate per due anni consecutivi a livello locale, delle Chiese particolari, riprendendo l’appuntamento mondiale il terzo anno. Così è quest’anno con la Giornata ad Altötting”. In vista dell’appuntamento Benedetto XVI concede l’indulgenza plenaria a quei fedeli che, “con animo veramente pentito e contrito”, dal 7 all’11 febbraio parteciperanno “devotamente a una cerimonia celebrata per impetrare da Dio i propositi della Giornata mondiale del malato e reciteranno il Padre nostro, il Credo e una pia invocazione alla beata Vergine Maria”. Indulgenza plenaria anche ai fedeli che “negli ospedali pubblici o in qualsiasi casa privata assistono caritatevolmente, come il buon samaritano, gli ammalati e, a motivo del loro servizio, non possono partecipare alle funzioni”, se in quei giorni “presteranno generosamente almeno per qualche ora la loro caritatevole assistenza come se lo facessero allo stesso Cristo Signore”. I fedeli, infine, che “per malattia, per età avanzata o per altra simile ragione, sono impediti dal prendere parte alla cerimonia”, otterranno l’indulgenza plenaria purché, “avendo l’animo distaccato da qualsiasi peccato e proponendosi di adempiere non appena possibile le solite condizioni, partecipino spiritualmente alle sacre funzioni” attraverso la tv o la radio, offrendo a Dio “le loro sofferenze fisiche e spirituali”.
Dal messaggio di Benedetto XVI “Va’ e anche tu fa’ lo stesso” (Lc 10, 37)
Il concilio
“In questa circostanza, mi sento particolarmente vicino a ciascuno di voi, cari ammalati che, nei luoghi di assistenza e di cura o anche a casa, vivete un difficile momento di prova a causa dell’infermità e della sofferenza. A tutti giungano le parole rassicuranti dei Padri del Concilio ecumenico Vaticano II: ‘Non siete né abbandonati, né inutili: voi siete chiamati da Cristo, voi siete la sua trasparente immagine’”.
Il vangelo
Con la parabola del buon samaritano “Gesù vuole far comprendere l’amore profondo di Dio verso ogni essere umano, specialmente quando si trova nella malattia e nel dolore. Ma, allo stesso tempo, con le parole conclusive della parabola del buon samaritano: ‘Va’ e anche tu fa’ lo stesso’ (Lc 10,37), il Signore indica qual è l’atteggiamento che deve avere ogni suo discepolo verso gli altri, particolarmente se bisognosi di cura…
Ciò vale non solo per gli operatori pastorali e sanitari, ma per tutti, anche per lo stesso malato, che può vivere la propria condizione in una prospettiva di fede: ‘Non è lo scansare la sofferenza, la fuga davanti al dolore, che guarisce l’uomo, ma la capacità di accettare la tribolazione e in essa di maturare, di trovare senso mediante l’unione con Cristo, che ha sofferto con infinito amore’ (Spe salvi, 37)”.
Gesù è colui che “si china, pieno di misericordia, sull’abisso della sofferenza umana, per versare l’olio della consolazione e il vino della speranza”.
Testimoni cristiani che possono essere di esempio
“Vorrei richiamare alcune figure, tra le innumerevoli nella storia della Chiesa, che hanno aiutato le persone malate a valorizzare la sofferenza sul piano umano e spirituale, affinché siano di esempio e di stimolo.
Santa Teresa del Bambino Gesù e del Volto Santo, ‘esperta della scientia amoris’, seppe vivere in unione profonda alla passione di Gesù la malattia che la condusse alla morte attraverso grandi sofferenze.
Il venerabile Luigi Novarese, del quale molti ancora oggi serbano vivo il ricordo, nell’esercizio del suo ministero avvertì in modo particolare l’importanza della preghiera per e con gli ammalati e i sofferenti, che accompagnava spesso nei santuari mariani, in speciale modo alla Grotta di Lourdes.
Mosso dalla carità verso il prossimo, Raoul Follereau ha dedicato la propria vita alla cura delle persone affette dal morbo di Hansen sin nelle aree più remote del pianeta, promuovendo fra l’altro la Giornata mondiale contro la lebbra.
La beata Teresa di Calcutta iniziava sempre la sua giornata incontrando Gesù nell’eucaristia, per uscire poi nelle strade con la corona del rosario in mano ad incontrare e servire il Signore presente nei sofferenti, specialmente in coloro che sono ‘non voluti, non amati, non curati’.
Santa Anna Schäffer di Mindelstetten seppe, anche lei, in modo esemplare unire le proprie sofferenze a quelle di Cristo: ‘Il letto di dolore diventò… cella conventuale e la sofferenza costituì il suo servizio missionario… Confortata dalla Comunione quotidiana, ella diventò un’instancabile strumento di intercessione nella preghiera e un riflesso dell’amore di Dio per molte persone che cercavano il suo consiglio’ (omelia per la canonizzazione, 21 ottobre 2012)”.
Giornata malato. Il Papa cita mons. Novarese
Una rivoluzione: il malato non è passivo ma attivo
Nel suo Messaggio per la 21a Giornata mondiale del malato (vedi qui sopra), Benedetto XVI richiama alcune figure che hanno aiutato le persone malate a valorizzare la sofferenza sul piano umano e spirituale, tra cui il venerabile Luigi Novarese (1914-1984) che il prossimo 11 maggio sarà proclamato beato a Roma, presso la basilica di San Paolo fuori le Mura, dal segretario di Stato card. Tarcisio Bertone. Mons. Novarese è stato un sacerdote che ha portato la rivoluzione nel mondo degli ammalati. Egli sperimentò sulla sua pelle che l’uomo non è una semplice macchina da riparare, che una medicina così concepita non è pienamente umana. Ignora che l’uomo non è soltanto corpo, ma un’entità più complessa: è corpo e anima, materia e psiche. E dunque la cura che porta alla guarigione non può essere che totale e coinvolgere tutto l’uomo. Egli è entrato nella soggettività dell’ammalato e vi ha trovato un atteggiamento di passività e rassegnazione. Per prima cosa, dunque, è intervenuto su quest’atteggiamento. E ha cercato di trasformare l’ammalato da soggetto passivo di pietà da parte di se stesso e degli altri, in soggetto d’azione. In che modo? Spiegandogli che se il corpo è indisposto, lo spirito è attivo, e che la sofferenza vissuta dall’ammalato come condizione penosa e inutile, può diventare un’opportunità di crescita interiore e di salvezza per gli altri. La fede non elude la sofferenza, ma la riempie di significato. Tanti ammalati che hanno conosciuto don Novarese hanno ritrovato dignità umana e cristiana e riscoperto il significato vero della loro esistenza. Tra questi il venerabile Giunio Tinarelli di Terni, del quale è in corso la causa di beatificazione. È significativo pertanto il richiamo di Benedetto XVI alla figura di mons. Luigi Novarese “del quale molti ancora oggi serbano vivo il ricordo”. Io stesso, aderente al Cvs dal 1965, l’ho conosciuto e collaborato con lui in più occasioni.
Il carisma di mons. Novarese
A soli 9 anni Luigi Novarese scopre di avere un male che lo porta da un ospedale all’altro, fino al momento in cui i medici escludono ogni possibile guarigione dalla coxite tubercolare. Ma egli guarisce per intercessione di san Giovanni Bosco e di Maria Ausiliatrice, e nasce in lui il desiderio di dedicare la vita agli ammalati. Entra seminarista presso l’Almo collegio Capranica di Roma e viene ordinato sacerdote. Il 1° maggio 1942, su invito di mons. Giovanni Battista Montini, sostituto della Segreteria di Stato vaticana e futuro papa Paolo VI, inizia a lavorare presso la Segreteria di Stato della Santa Sede, dove rimarrà fino al 12 maggio 1970 per passare poi alle dipendenze della Conferenza episcopale italiana per occuparsi di pastorale sanitaria, diventando il primo “ordinario ospedaliero” nazionale. Il 17 maggio 1943, per venire in aiuto ai preti infermi, feriti o in gravi condizioni economiche a causa della guerra, don Novarese fonda la Lega sacerdotale mariana. Quattro anni dopo, il 17 marzo 1947 dà l’avvio al Centro volontari della sofferenza, l’associazione nella quale egli insegna agli ammalati a pensare in modo nuovo se stessi e la malattia. Nel 1950 tiene a battesimo i Silenziosi operai della croce, un’associazione di anime consacrate – uomini e donne, sacerdoti e laici, sani e ammalati – impegnate a illuminare i sofferenti sul senso cristiano del dolore e a sostenerli attraverso opere assistenziali e di recupero professionale. Consapevole dell’importanza della dimensione spirituale in rapporto alla malattia, decide la costruzione della Casa “Cuore Immacolato di Maria” a Re. Inaugurata il 23 maggio 1960, ospita ogni anno i corsi di esercizi spirituali per ammalati. Nel 1952 crea la quarta associazione, i Fratelli e Sorelle degli ammalati, persone sane che si inseriscono nell’apostolato del malato condividendo lo stesso programma spirituale e sostenendolo nelle sue necessità. Oggi la grande famiglia del Cvs è una realtà presente in molte nazioni, che confluisce in un unico soggetto: la Confederazione internazionale Cvs, approvata nel 2004 dal Pontificio consiglio dei laici.
Pasquale Caracciolo,
segretario regionale Cvs