Umbria Jazz passa rapida come una cometa sul cielo invernale di questa rupe di Orvieto nel brevissimo spazio, tra un fine e inizio d’anno, lasciandosi dietro una fastosa luminosa coda di luci, di suoni e di consensi. Bisogna riconoscere che la rassegna è divenuta un vero e proprio appuntamento annuale per gli appassionati di musica, di certa musica non assolutamente disprezzabile per i valori che reca tra le corde della sua anima e gli estenuanti virtuosismi in cui si esprime. Così si infrange per un po’ il silenzio ancestrale che ne perpetua il carattere e la gente, dai diversi accenti, sciama a flussi più o meno intensi al richiamo battente dei vari rendez-vous in programma, fino a tarda notte, o alla ricerca, con gli occhi ansiosi, di impensate meraviglie nascoste chissà dove nell’inestricabile mistero dell’antica città della rupe. E in questa attesa, si stampa, a precisi intervalli, nella luce di mezzogiorno o in quella del tardo pomeriggio, l’uscita per il centro storico della “Marching Band”, “The Coolbone Brass Band of New Orleans”, tutta in rigoroso nero, con colossale basso tuba e trombe e tromboncini in testa. Orvieto guarda, digerisce e si compiace. Che poi c’è tutto il resto, in parte noto e in parte no; c’è e come, per ogni gusto e grado, da quelli più raffinati a quelli meno introdotti, dai generi più semplici ai più complicati, da quelli metafisici a quelli più scatenati: ognuno ha avuto la possibilità di ascoltare ciò che voleva e cercava, musica nera e quella bianca, dal main stream al bogie-woogie, dalla bossa nova all’italian style, dal rythm’n blues al gospel. Ma il punto culminante della intera kermesse musicale è stata la messa in Duomo, la sera del primo dell’anno 2003, giorno dedicato a Maria, madre di Dio, e giustamente alla pace del mondo, divenuto ormai una tradizione con tutti i crismi e riconoscimenti dovuti. Un momento altamente significativo, donde con evidenza palpabile era possibile cogliere nella moltitudine e varietà dei presenti – circa tremila e più persone – l’unità degli intenti e la reale dimensione della festa. Il Vescovo stesso l’ha presieduta, dominando l’intera assemblea con il suo gesto pastorale e la sua illuminata parola. Dove ha ribadito il concetto che la pace è dono di Dio, annunciato dagli angeli in volo nella notte del presepe, agli uomini che, facendo la sua volontà, sono oggetto del suo buon volere. Nelle ampie navi del Duomo, tra il mistico conflitto delle luci e delle ombre, l’enorme massa non aveva più confini. Era però tutta orientata, con orecchi e occhi puntati suddove il linguaggio si faceva universale ora con la preghiera ed ora con il canto. Erano angeli neri a cantare, paludati con ampie orlature d’oro, alla maniera di corte o di basilica, – senza mandole e senza sistri, ma con vocipotenti e vibranti come trombe – i “Boby Jones and New Life With The Nashville Superchoir – : cantavano e inneggiavano e invocavano, pregavano insomma a loro modo, senza risparmio e senza limiti. Era il Gospel, millenaria storia di Dio e di uomini insieme. Ce n’era abbastanza perché sugli occhi di ognuno, in quella massa oscura che si agitava e batteva le mani, spuntasse una luce di emozione e di bontà.
Grande festa per il decennale di Umbria jazz winter ad Orvieto
Oltre tremila persone in Duomo hanno assistito alla messa per la pace
AUTORE:
P.M.