Il Vangelo ci porta oggi nel pieno dell’attività missionaria di Gesù; egli “andava attorno per tutte le città e i villaggi insegnando nelle loro sinagoghe, predicando il vangelo del regno e curando ogni malattia e infermità” (9,35). Gesù è un missionario itinerante senza recapito fisso, in moto perpetuo come le volpi che pure hanno le loro tane e come gli uccelli del cielo che pure hanno il loro nido (Mt 9,20). In questa sua esperienza capisce che non può arrivare a tutti da solo, pur nello zelo che lo divora senza tregua. Troppi sono i bisogni della sua gente povera, disagiata, malata, depressa, assetata di Dio. Ha cominciato a formarsi una cerchia di discepoli, che si porta dietro, cercando di istruirli con la sua parola e con il suo esempio, nella speranza che si innamorino della sua missione e lo aiutino con entusiasmo nella sua opera di evangelizzazione.
Egli li esorta a pregare Dio perché, insieme a loro, mandi altri operai nel suo campo di lavoro, dove il raccolto minaccia di andare sprecato. Intanto però ingaggia i dodici apostoli, che ha già a disposizione in aiuto alla sua missione. Pregare non è evadere dall’impegno personale di collaborazione fattiva, come se l’evangelizzazione riguardasse gli altri e non noi. Pregare è sintonizzarsi con Dio per sentire più forte l’urgenza della collaborazione con Lui e disporre il proprio cuore ad un più forte impegno. Solo dopo, possiamo chiedere al Padre che mandi altri a collaborare con noi. Gesù sa che i suoi primi discepoli non sono del tutto preparati, ma si faranno pian piano le ossa anche loro sul campo. Non c’è scuola migliore dell’impegno fattivo. Così li lancia coraggiosamente nell’avventura insieme con lui. È un insegnamento valido per tutti i tempi della Chiesa: la Chiesa o è tutta missionaria o non è Chiesa.
Il Concilio Vaticano II insegna che “ad ogni discepolo di Cristo incombe il dovere di spargere, quanto gli è possibile, la fede” (LG 17). Verifichiamo su questa pagina di Vangelo il nostro impegno missionario. Il campo d’azione di Gesù è la sinagoga, la strada, la campagna, la casa, insomma ogni luogo dove l’uomo vive. Qui incontra la sua gente con parole brevi, con dialoghi e con discorsi, con gesti e miracoli. Ogni occasione è buona per comunicare la bella notizia del Vangelo. Lo guida un grande amore disinteressato per l’uomo, bisognoso di verità e di guarigione. Esprime questo amore con due immagini ricavate dall’esperienza pastorale e agricola del suo popolo: l’affetto e la compassione del pastore per il suo gregge, e la preoccupazione del contadino per il suo grano ormai maturo, che minaccia di cadere e andare perduto. Ha potuto costatare che il suo popolo è come gregge senza pastore, sbandato e lasciato in balia di se stesso, senza istruzione e guida. Eppure quel gregge sono le pecore che Dio ha raccolto e ama. I capi che dovrebbero prendersene cura fanno i loro interessi e si mostrano irresponsabili.
È una situazione pietosa che richiede di intervenire con urgenza. Egli ne sente tutta la pena e insegue quel suo gregge amato per villaggi e città, per aiutarlo. Nello stesso tempo invita i discepoli a pregare perché Dio mandi nuovi operai nella sua messe matura, come avviene nella parabola degli operai della vigna chiamati in ore diverse del giorno (Mt 20,1-16). Gesù mostra di provare un intimo struggimento per tutte quelle persone che non può raggiungere e che pure ascolterebbero volentieri il suo messaggio. Un giorno a Samaria, vedendo la gente che lo veniva a cercare, aveva detto ai discepoli: “Levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura” (Gv 4,35). Ora confida: “La messe è molta, ma gli operai sono pochi”. Invitando a pregare, non fa che comunicare la propria esperienza. Egli pregò tutta la notte prima di scegliere i dodici apostoli (Lc 6,12s), perché sapeva che ogni vocazione nasce dal cuore del Padre.
È sempre lui che chiama e sceglie chi vuole; lo aveva detto chiaro: “Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato” (Gv 6,44). I dodici che Gesù coinvolge insieme a lui nella missione sono stati donati a lui, come suoi collaboratori stretti, proprio dal Padre. Nella preghiera della cena pasquale egli li affida di nuovo a Dio, perché li custodisca in sua assenza: “Erano tuoi e li hai dati a me, ed essi hanno osservato la tua parola. Ora sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te. Io prego per loro: Padre santo custodisci nel tuo nome coloro che mi hai donato” (Gv 17,6-11). Questi sono i sentimenti che Gesù prova nell’inviare davanti a sé i dodici in ogni città e villaggio.
Quello che Matteo oggi ci fornisce è uno dei quattro elenchi che troviamo nei Vangeli sinottici e negli Atti, con leggere variazioni (Mc 3,16-19; Lc 6,13-16; At 1,13). Sono chiamati tutti per nome, perché Dio ci conosce e ci ama così, con il nostro specifico nome e volto. Sono dodici di numero, perché costituiscono la base del nuovo popolo di Dio, a somiglianza delle dodici tribù d’Israele. Sono diversi per origine, indole e mestiere, perché rappresentano la varietà della gente da cui provengono. Primo è sempre Pietro per il suo ruolo di capo. Partono con Gesù, in collaborazione e in continuità con lui, nell’ambito della propria terra di origine, che dovrebbe restare sempre il primo raggio di apostolato di tutti. Per il momento, limita così il loro campo di azione: “Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele”. Solo dopo Pasqua la missione diventerà universale (28,19s).
L’argomento dell’annuncio è quello enunciato da Gesù e sintetizzato nella proclamazione del regno dei cieli, ormai giunto e certificato dai segni e miracoli che lo accompagnano. Devono dire, cioè, che Dio è sceso fra la sua gente e ne sta operando la salvezza integrale dello spirito e del corpo, con parole e miracoli. Lo stile di apostolato è quello stesso di Gesù, contraddistinto dall’assoluta gratuità, dal distacco dal denaro e da ogni cosa superflua. Nessun rumore di soldi deve disturbare l’annuncio. I discepoli, come Gesù, non “hanno dove posare il capo” (8,20), perciò saranno ospiti nelle case di coloro che li accolgono, e che potranno ricompensare solo con il dono della pace. È appena un abbozzo di istruzione missionaria, ma sufficiente a far capire a noi e a tutta la Chiesa l’essenziale da dire e lo stile da praticare. Vale sempre e per tutti la regola fondamentale scritta a caratteri cubitali sulle nostre chiese: ‘Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date!’.