Nell’ultimo anno del secondo millennio, a beneficio dei miei 14 (quattordici) lettori mi sono audacemente cimentato nel tentativo di distillare il prodotto di alcuni dei più ponderosi circuiti cerebrali di cui furono titolari teologi anomali del 1900, solitari, parziali ma vivi, come Simone Weil e Dietrich BonhÈffer. Il risultato è stato misero, lo so. Da un elefante che si aggira in un negozio di porcellane si può esigere che, movendosi meno possibile, provochi solo danni riparabili, ma nessuno può ragionevolmente aspettarsi dal sullodato pachiderma un’esibizione alla Carla Fracci. E non solo per la difficoltà ad indossare il tutù. A contatto con quei distillati, ho maturato, o forse solo confermato, la convinzione che il punto più alto della vicenda umana coincide esattamente col suo punto più basso. Siamo in pieno “credo quia absurdum”.Ma siamo anche nel pieno della verità delle cose. Visto che il Cristianesimo non è un piccolo correttivo dell’umanesimo. Visto che il nucleo generatore della fede è quel grido disumano (“Padre, perché mi hai abbandonato?”) col quale il Figlio di Dio fatto uomo lacerò il cielo di una Parasceve che sembrava doversi concludere in gloria come tutte quelle che l’avevano preceduta. Parlare di Dio a partire dai poveri: gli eredi di quel grido. Modesto cultore della teologia apofatica, vorrei offrire a chi intende costruire il suo discorso su Dio qualche non spregevole riflessione sui poveri che egli ama. A titolo di piattaforma. Da un’angolazione – come suol dirsi – tutta esistenziale. Sono esattamente 30 anni che condivido con loro la tavola e il cesso. Trent’anni di sbagli, di mediocri puerilità, di porcheriole feriali, di tronfaggini da bulletto di provincia mascherate da dedizione alla causa. 30 anni. Dal 1971. Quanti sbagli! Solo quel cesso e quella tavola mi garantiscono che non tutto è stato inutile. Parlerò dunque dei poveri a partire dalla mia utopia, un po’ stanca, di condividere con loro tutto. Due volti illuminano l’incipit di questo discorso: Guala e Gerardi. Vi dirò perché.