Mamma mia, quante case canoniche disabitate! Non ci resta che piangere? Ma no!, l’abbiamo appurata insieme, l’insensatezza dell’ipotesi di un abbandono anche solo temporaneo della Chiesa da parte del suo Signore. Niente piagnistei, dunque, ma uno sforzo comune teso ad individuare e ad attivare, dentro quello che all’apparenza è solo un deserto, presenze pastorali di nuovo tipo.Azzardo. E se usassimo queste ex case canoniche come altrettanti nodi di un’inedita rete ecclesiale di evangelizzazione e di accoglienza ai più deboli? Che poi sono le due facce della stessa medaglia. Da una parte la scarsità del clero, dall’altra l’impossibilità della residenza per il singolo sacerdote. Allora…. briglia sciolta all’immaginazione! Non costa nulla. Anno 2063. Le 5 zone pastorali della diocesi di Gubbio sono diventate 5 parrocchie; ampie come estensione territoriale (il Comune di Gubbio, magna pars del territorio diocesano, è tra i più estesi d’Italia) e abbastanza popolose (tra i 5.000 e i 15.000 abitanti). Al centro di ogni parrocchia una… chiesa/madre, e lì vicino una comunità sacerdotale: 3/4 preti che vivono insieme, pregano insieme (beati loro!), si sostengono, evangelizzano, amministrano i sacramenti, razionalizzando l’officiatura delle varie chiese. Accanto a ognuna di quelle chiese una piccola iniziativa di accoglienza, epicentro di una più ampia vita di chiesa. Una coppia, motivata a intendere il matrimonio come fondamento della propria missione nel mondo, cura la chiesa, fa il catechismo, tiene in piedi un piccolo oratorio, organizza la preghiera in assenza del sacerdote, gli tiene in ordine la camera e l’ufficio per quando arriva; soprattutto, con la formula del “gruppo d’appoggio”, accoglie a nome dell’intera comunità parrocchiale un piccolo numero di persone in difficoltà: 4 o 5 anziani soli; quattro fuori di testa; con l’aggiunta di un ex carcerato, magari nostalgico del sole a scacchi. Usufruendo sia della carità della gente che di un’apposita convenzione con l’ente pubblico. Uno dei due lavora fuori, l’altro lavora dentro a tempo pieno. E intorno a quegli “amici di Dio” s’incentra la vita, sua, della coppia, e dei fratelli che la coppia ha preso in carico. Perché pare che proprio così Lui li abbia chiamati, quelli che fanno fatica: “amici prediletti”. E pare che, se non ci coalizziamo intorno a loro non entriamo nel Regno dei cieli. Pare.