di Daris Giancarlini
Fa un certo effetto, e scorrere un brivido lungo la schiena, leggere da una locandina che un centinaio di imputati in un processo per prostituzione e droga a Perugia siano stati assolti “dopo 20 anni”. Ti immedesimi, e il brivido si trasforma in tremore: perché puoi essere anche un delinquente matricolato, ma 20 anni per aspettare una sentenza nella vita di una qualunque persona sono tanti.
Troppi. Così viene istintivo chiedersi come mai tutto questo possa accadere, nel Paese che la giurisprudenza l’ha inventata. Creandone, forse, troppa e contraddittoria. Tanto che spesso una legge smentisce la precedente, la aggira, la supera, la contrasta; e tutto si avviluppa in un groviglio di carte e burocrazia, dilatando i tempi di una giustizia che, anche per questi motivi, risulta sempre meno credibile agli occhi del cittadino fiscalmente onesto.
Lo stesso ragionamento, da angolature diverse, si può azzardare per la sanità: le lunghissime liste d’attesa per un banale esame sembrano un problema irresolubile. Poi si scopre – lo ha evidenziato un’inchiesta di Milena Gabanelli – che i medici ospedalieri italiani sono tra i meno pagati d’Europa, e che per superare questo divario è stata data loro la possibilità di svolgere dentro le mura dell’ospedale la professione privata.
Con il risultato che gli ambulatori, per diverse ore di diversi giorni a settimana, hanno meno medici impegnati a fare esami. Giustizia in crisi, sanità non ne parliamo: meglio evitare, se possibile, tribunali e ospedali.