Il Parlamento italiano è in procinto di elaborare una legge sul testamento biologico, cioè sulle modalità con cui ogni cittadino potrà chiedere di essere o non essere sottoposto a determinate cure, qualora si trovasse in condizione di non poter esprimere la sua volontà. Al chirurgo Ignazio Marino, autore del disegno di legge sottoscritto da un terzo dei senatori, abbiamo chiesto di indicarci i principali nodi problematici. ‘La questione centrale ‘ spiega ‘ è il fatto che nella Repubblica italiana, sulla base dell’articolo 32 della Costituzione, esiste il diritto alla salute, ma non esiste il dovere di sottoporsi ad alcuna terapia. Una persona che vive in Italia ha il diritto di essere curata per qualunque malattia, ma ha anche il diritto di poter sceglire, una volta informata sulle terapie, se sottoporvisi oppure rifiutarle. Questo diritto viene esercitato ogni giorno, ad esempio, dai cittadini italiani che decidono di non continuare un trattamento di chemioterapia, perché la loro qualità di vita è scadente, e perché ritengono di non avvalersi di una tecnica che esiste e accettano invece la fine naturale della vita’. Perché è necessaria una legge sul testamento biologico? ‘Perché la legislazione vigente non garantisce il cittadino che voglia lasciare ai medici, nel caso in cui perdesse la coscienza, l’indicazione di utilizzare tutte le terapie disponibili oggi e quelle che saranno disponibili in futuro. E ugualmente non garantisce il cittadino che, al contrario, scelga di lasciare ai medici, nel caso in cui perdesse la coscienza e non avesse una ragionevole speranza di recupero della sua integrità intellettiva, l’indicazione di lasciarlo spegnere, di non utilizzare cure sproporzionate. Nessuna di queste due situazioni, in assenza di una legge, potrebbe essere garantita. Ed è questo quindi il punto centrale: non si vuole una legge per ‘staccare la spina’, ma una legge per garantire la libera scelta di ciascuno di noi’. Non c’è il rischio di aprire la via all’eutanasia? ‘Rispetto a terapie che vengano considerate sproporzionate per i risultati attesi, cioè quando non ci si può attendere un recupero dell’integrità intellettiva del paziente, è legittimo sospendere le cure. Questo non significa uccidere, significa soltanto accettare la fine della vita. Lo afferma anche il Catechismo della Chiesa cattolica’. Ma la questione ha molti nodi problematici, avverte Francesca Barone, presidente del Centro di bioetica di Perugia. ‘Nel caso di Eluana Englaro ‘ dice ‘ si è interrotta la vita con una modalità, quella della sottrazione di nutrizione e idratazione, che certamente sarà vietata nella legge in discussione in Parlamento, e che è cosa ben diversa dalla sospensione di una cura onerosa per il paziente’. Ignazio Marino sostiene che la nutrizione artificiale sia una forma di cura… ‘Quella di Marino è una modalità interpretativa non condivisa da tutti, forse nemmeno dalla maggioranza, perché la nutrizione artificiale non modifica il metabolismo ma lo tiene in equilibrio. La terapia invece, per essere tale, deve essere un trattamento che modifica una situazione patologica. Qualche dubbio può venire quando la nutrizione avvenga non attraverso un sondino naso-gastrico ma attraverso un intervento chirurgico, direttamente nello stomaco’. Cosa rispondere a chi sostiene che la vita di Eluana non fosse una vita dignitosa? ‘La definizione di ‘vita dignitosa’ afferisce a un concetto secondo cui una vita, per essere vita personale, deve avere una sua dignità, cioè il soggetto deve essere capace di poter esprimere liberamente la sua personalità; pertanto quando la vita non ha questa dignità può essere interrotta. Il principio personalista a cui fa riferimento il mio gruppo indica che l’essere umano come persona è sempre, dal concepimento alla sua fine naturale, un valore immenso perché porta con sé valori inalienabili. Bisogna chiedersi chi possa arrogarsi il diritto di definire fin quando ci sia dignità in una persona: c’è il rischio di autoritarismi pericolosi’. L’altro nodo, avverte Barone, ‘è che non è stata mai documentata la volontà di Eluana. La difficile questione giuridica risiede nell’attualità del consenso: può avere validità un consenso espresso dieci anni, o anche un anno prima? L’esperienza mia e di molti colleghi è che, di fronte alla morte incombente, se il paziente non è lasciato solo, molto spesso non solo non chiede di morire, ma accetta la condizione e fa un lavoro intimo e personale molto importante’.
Giudici in corsia
Testamento biologico. Dopo il caso Eluana, una legge sul fine vita appare sempre più urgente. Ma come funzionerebbe?
AUTORE:
Giulio Lizzi