Inizia con questa domenica la Settimana santa di passione, morte e risurrezione di Gesù. Nel racconto che ascolteremo nella messa, Matteo mostra chiaramente che Gesù ha liberamente scelto questa strada di dolore e di redenzione in accordo con la misteriosa volontà del Padre rivelata nelle Scritture. Nella cena anticipa, nel segno sacramentale del pane e del vino, il dono libero di se stesso per tutti noi, nel Getzemani conferma la sua sofferta decisione, pur potendo cambiarla (26,53-54). Matteo, da buon giudeo, legge la passione attraverso le Sacre Scritture e confessa che prima di Pasqua lui e i suoi compagni non avevano capito nulla, anzi avevano contestato le parole di annuncio che Gesù aveva pronunciato (16,21-23) o l’avevano rimosse con tristezza e incoscienza (17,22-23).
Quelle parole erano per loro un ostacolo insormontabile, un programma umanamente assurdo. Eppure da quella apparente sconfitta deve nascere un mondo nuovo; la debolezza dell’amore genera la potenza di vita e di resurrezione per gli uomini. L’evangelista descrive simbolicamente tutto questo riferendo i segni che accompagnano la morte di Cristo in croce: la lacerazione del velo del Tempio indica che ormai l’ingresso degli uomini a Dio è senza ostacoli e senza veli; gli sconvolgimenti cosmici indicano che il mondo partecipa al grande dolore del Figlio di Dio ed è attraversato da una scossa salvifica che cambia le cose; i morti che escono dalle tombe annunciano l’alba di una esplosione di vita e di resurrezione senza pari. Dalla croce e dal sepolcro si sprigiona una potenza incontenibile che i soldati messi a guardia non possono arginare. Tutto questo anticipa e annuncia l’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme la domenica delle Palme. Una fiumana incontenibile di pellegrini osannanti scortano Gesù verso la Città santa, giù per lo scosceso sentiero che riga il monte degli Ulivi.
Il racconto di Matteo si aggancia alla guarigione dei due ciechi di Gerico, ultima tappa del suo cammino pasquale. I pellegrini della Galilea, in cammino verso Gerusalemme per celebrarvi le feste pasquali, hanno assistito entusiasti a quel miracolo strepitoso, e gli organizzano, insieme ai discepoli, il corteo chiassoso che l’evangelista descrive. Siamo in vista della città, sulla cima del monte degli Ulivi, a circa un chilometro di distanza dalle porte di Gerusalemme. Sulla sinistra, ma dietro la cima, c’è il piccolo borgo di Betfage (la casa del fico), dove Gesù invia due suoi discepoli a prelevare un’asina con il suo puledro. Le indicazioni che dà sono così precise che i due non hanno difficoltà a trovare l’asina madre legata accanto ad una casa con il suo puledro che le ronza libero intorno. Nello slegare la bestia qualcuno chiede la ragione di quell’apparente furto. La risposta l’ha già suggerita il Signore: quell’animale serve in prestito a lui, che provvederà quanto prima a rimandarlo. Nessuno fa obiezione, gli animali venivano dati generosamente in prestito a chi ne aveva bisogno.
Ciò che colpisce è il fatto che tutto è previsto con largo anticipo, anche in riferimento alla profezia di Zaccaria che annunciava l’evento circa cinquecento anni prima, specificando asina e puledro. Matteo combina qui due testi di profeti diversi: Isaia che gli fornisce l’indirizzo iniziale: “Dite alla figlia di Sion”, e Zaccaria che fornisce il corpo dell’annuncio: “Ecco il tuo re viene a te”. In ambedue i testi è contenuto un invito di gioia rivolto alla Città santa, perché si rallegri per la visita del Signore Dio, il suo vero re, che viene a portare la pace: “Annunzierà la pace alla genti, il suo dominio sarà da mare a mare e dal fiume ai confini della terra” (Zc 9,10). Quel Dio, che già aveva visitato la città con il ritorno gioioso dei deportati da Babilonia, ora torna ad annunciare l’inizio del suo regno di pace per tutti i popoli della terra. La folla che fa festa intorno a Gesù non sa tutto questo, ma intuisce che qualcosa di grande sta accadendo.
I lettori di Matteo sono in grado di capire tutta l’importanza dell’evento, che introduce gli eventi salvifici della Pasqua cristiana. L’umile re che arriva in città a dorso di un’asina è il Messia figlio di David e il Figlio di Dio. Risuonano attorno a lui le acclamazioni che si gridavano a Dio nel Tempio durante le feste solenni. Sono prese dal Salmo 118 cantato sopratutto durante la festa delle Capanne per ringraziare Dio della salvezza concessa alla città e al suo re Ezechia al tempo dell’invasione assira nel 690 a. C.: “Osanna, benedetto, osanna” (Sl 118,25-26). Osanna era inizialmente un’invocazione e significava letteralmente “soccorrici, salvaci”, ma ormai da tempo era diventato un saluto di accoglienza festosa, come il nostro “evviva!”. Il secondo saluto esprime invece una benedizione, un augurio, un moto di riconoscenza: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore”.
Dio ha visitato il suo popolo inviando suo Figlio. Come descritto dal profeta Zaccaria, il Messia viene ora a dorso d’asina. Era il segno nel quale la città avrebbe dovuto riconoscere il suo re, figlio di Davide. Sono accentuate l’umiltà, la mitezza, la mansuetudine di questo re davidico, che non viene da conquistatore con la sua cavalleria, ma su ‘una bestia da soma’, un animale abituato ad affrontare la fatica e la sofferenza, come colui che lo cavalca. Cinque giorni dopo vedranno quell’insolito cavaliere attraversare le vie della città con il suo pesante carico di croce. Quell’uomo porterà i peccati di tutti sulle sue spalle piagate.
Proprio in previsione di ciò, la città appare indifferente, non partecipa alla gioia dei pellegrini ed entra in agitazione per quello strano e festoso corteo. Molti domandano chi è quell’uomo acclamato da quella folla così vivace. I pellegrini rispondono: “È il profeta Gesù, da Nazareth di Galilea”. Non vanno più in là delle apparenze e danno una risposta che sminuisce la profezia di Zaccaria, che parlava del Re-Dio che viene. Sembra ripetersi ciò che accadde alla venuta dei Magi, quando all’udire le parole degli sconosciuti stranieri, “il re Erode rimase turbato e con lui tutta Gerusalemme” (2,3).Quella strana agitazione degli abitanti della Città santa non promette nulla di buono, come al tempo di Erode. È palpabile la diffidenza e l’ostilità che condurrà quei cittadini a gridare: “Crocifiggilo!” sotto le finestre del palazzo di Pilato cinque giorni dopo. Cambia rapidamente la scena del nostro mondo!