L’uomo del nostro tempo si trova sempre più al centro di una lotta estenuante tra il bene e il male e sperimenta drammaticamente in sé i lacci del peccato che lo tengono prigioniero, immerso in una tristezza che toglie la speranza e rende opachi i giorni. Solo un Incontro può destarlo da questo sonno di morte, una Parola che è il grido di Gesù dinnanzi alla morte dell’amico amato: “Lazzaro, vieni fuori!” (Gv 11,43). Sì, l’uomo ha bisogno di “venire fuori”, di rompere l’angusto perimetro del suo piccolo mondo per lasciare entrare la luce e la forza dirompente della Grazia, che sola può liberarlo e guarirlo. Spesso, però, il rischio è di svuotare la potenza di vita nuova della buona notizia evangelica riducendo la libertà e la guarigione donate da Cristo a qualcosa di intimistico o avente a che fare esclusivamente con la sfera spirituale, quasi l’uomo fosse diviso a settori non comunicanti tra loro. “Ogni uomo è fatto di cielo e di terra, spirito e materia, esteriorità e interiorità, dei resti dell’originaria perfezione e del caos della corruzione del peccato, da cui per l’azione della grazia rinasce la nuova creatura” (Filaret di Mosca). L’incontro con Cristo si situa proprio a questo livello, tocca tutto il mistero dell’uomo fatto di cielo e di terra e incide profondamente anche sui dinamismi psicologici; è una salvezza “nella carne”, con tutto ciò che significa questa espressione. Ormai, anche in campo cattolico, sono stati fatti molti studi su questo profondo legame tra spirito e psiche, legame che viene continuamente richiamato da Giovanni Paolo II nei suoi discorsi e nei suoi documenti. Di fatto, se si leggono attentamente le pagine evangeliche, si nota in Gesù una profonda conoscenza del cuore umano, un’attenzione costante ad andare oltre le apparenze per smascherare l’uomo, per scioglierlo dalle sue illusioni, dai tentativi di giustificarsi e coprire le ambiguità delle sue motivazioni profonde. La relazione con Cristo esige dall’uomo il coraggio di non evadere dalla propria condizione umana e di rimanere nella verità del suo limite e della sua condizione di peccato. La sovrabbondante misericordia del Padre, il suo perdono del tutto gratuito e immeritato, rivela all’uomo chi è, lo rende cosciente della propria colpa e gli pone dinnanzi il suo destino meraviglioso, la dignità di essere figlio amato e prediletto. La conversione, frutto della libertà e della guarigione donate da Cristo, non potrà “mai nascere da un codice morale o da un regolamento, ma dall’incontro con Qualcuno che mi fa prendere coscienza di essere amato, chiamato a vivere, a crescere e a divenire un uomo libero” (Hubaut).A livello psicologico il segnale di questa conversione è una progressiva maturazione del senso di colpa, il passaggio da uno sterile rimorso a un dolore per aver infranto con il proprio peccato la relazione con Dio e di conseguenza la relazione con se stessi, con i fratelli, con il mondo. Il rimorso è un tarlo che corrode l’uomo, lo spinge a chiudersi in se stesso in una prigione da cui non può più uscire; è fonte di ansia e di infiniti tentativi di riparare da sé al male compiuto. La colpa immatura, che ha tanto a che fare con i dinamismi infantili della nostra psiche, è in fondo il dispiacere per aver sporcato il bel vestitino bianco che ci siamo confezionati con le nostre mani; è la preoccupazione narcisistica di essere perfetti che non tollera la più piccola macchia, che si costruisce un austero programma fatto di prescrizioni minuziose e non si lascia guidare dall’imprevedibile azione dello Spirito. È importante allora poter liberare la colpa sia dal peso di ciò che in realtà è sterile conflitto intrapsichico, sia dall’illusione che in fondo non c’è nulla di cui farsi perdonare, ma piuttosto solo qualcosa di cui dover chieder scusa a Dio. La colpa matura cristiana non è la disperante constatazione di un fallimento generatore di tristezza e angoscia (si pensi alla figura di Giuda); è il momento in cui il cristiano “invece di abbandonarsi ad una ribellione sterile e distruttrice, accede all’umiltà, alla scoperta sconvolgente dell’uomo davanti a Dio, un peccatore davanti all’amore del Cristo Salvatore” (Paolo VI). Emblematica, a questo proposito, è la figura di Pietro, un uomo di slanci e passioni che nel momento della prova rinnega il Maestro e si scioglie in un pianto liberatore quando i suoi occhi incrociano quelli di Cristo: questo sguardo carico di tenerezza lo sconvolge, lo fa uscire da sé, facendogli riaffermare il suo desiderio di amare e seguire il Signore. I mezzi ordinari della Grazia (ascolto della Parola, preghiera, vita sacramentale, indulgenze quali il cosiddetto “perdono di Assisi”) sono la medicina offerta dal Signore attraverso la Chiesa affinché l’uomo possa fare esperienza di quella profonda riconciliazione, che trasforma la lotta meramente psicologica in lotta religiosa, aperta all’incontro trasformante con il Cristo e che – a sua volta – è guarigione profonda dello spirito e del cuore umani, dell’anima e della psiche, dell’uomo nella totalità del suo essere.
Gesù libera e guarisce
L'uomo tra lotta psicologica e lotta religiosa
AUTORE:
Sr. Chiara Noemi osc.Lugano (CH)