La proclamazione del regno di Dio, annunciato come squillo di tromba nella liturgia di domenica scorsa, oggi comincia a mostrare i suoi aspetti concreti. Il Discorso della montagna, di cui ascolteremo il prologo, le Beatitudini, può essere considerato lo Statuto del regno di Dio. Vale a dire che l’appartenenza alla cerchia dei discepoli di Gesù, cioè alla Chiesa, si misura con l’accettazione della visione del mondo che esso propone. Visione del mondo, delle cose, dei rapporti, profondamente diversa da quella corrente. Nelle prossime domeniche lo ascolteremo per intero, a brani distinti, e avremo modo di confrontarvi il nostro vissuto; noi figli di questa generazione. Lo scenario descritto dall’evangelista Matteo è ricco di risonanze bibliche. I personaggi sono: Gesù, i discepoli, la folla. Lo sfondo è la montagna.
Gesù vi sale, si siede, come un maestro in cattedra, poi ne discenderà; attorno a lui c’è la cerchia dei discepoli a cui è indirizzato per primi l’insegnamento; più lontano brulica la folla, a cui i discepoli dovranno poi trasmetterlo. Nel linguaggio biblico la montagna è il luogo teologico della Rivelazione, e non tanto un sito geograficamente determinato. Gesù vi proclama lo statuto del nuovo popolo di Dio, a somiglianza di Mosè che, dopo avere ricevuto la rivelazione sul monte Sinai, la trasmette al popolo, ponendo così il fondamento dell’antico Israele. Tuttavia Gesù è superiore a Mosè; questi ricevette da Dio l’insegnamento da trasmettere, mentre Gesù insegna con propria pienezza di potere. Il discorso è introdotto in modo solenne. La traduzione italiana dice: “Gesù prendendo la parola…” Il testo originale greco è ben più allusivo: “Gesù aprendo la bocca” (se il testo italiano avesse tradotto letteralmente il greco, pochi, onestamente, ne avrebbero capito la portata).
In realtà la forma nella lingua originale è ben più pregnante e richiama la ricchezza di altri passi biblici, come quando troviamo scritto: “La bocca parla dalla pienezza del cuore” (Mt 12,34); oppure “l’uomo vive di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (4,4); o anche “Egli parla con autorità” (7,29). Così la predicazione primitiva, ripresa da Matteo, intendeva affermare che Gesù con la sua parola offre agli uomini la vita. Poi ha inizio il discorso diretto. Per nove volte ascoltiamo risuonare la parola “beati”! Nel linguaggio della Bibbia dire beato equivale a dire fortunato, felice. Se ci pensiamo un momento, non è poi così scontato decidere chi al mondo possa essere considerato fortunato o felice e chi no. Girano molte opinioni in proposito. Dipende da quello che ciascuno pensa di e sé, degli altri, della vita. Gesù pensa che sono beati i poveri, gli afflitti, i miti, quelli che hanno fame e sete di giustizia, i misericordiosi, i pacificatori, i perseguitati, gli insultati (5,2-11).
Non è difficile immaginare una lista di beatitudini secondo il sentire culturale corrente. Se uno ci prova, scopre senza difficoltà di stare esattamente all’opposto del pensiero di Gesù. Bisogna riconoscere in ogni caso che per noi e per i nostri contemporanei non è facile capire correttamente espressioni culturalmente così lontane, come sono queste del Discorso della montagna. Proviamo a entrare in qualcuna di esse. Beati i poveri in spirito. Nel linguaggio popolare, l’espressione è passata praticamente ad esprimere il significato che le attribuiva Schopenhauer: vuoto interiore, coscienza scialba, mancanza di cultura e quota intellettuale inferiore alla media.
Evidentemente il filosofo tedesco mostra di sapere ben poco, almeno in questo caso, di come si entra in testo antico. Lo sfondo culturale nel quale si muoveva la predicazione di Gesù era l’Antico Testamento, dove la povertà aveva a che fare con l’idea di Alleanza, il cui ordinamento prevedeva, ad esempio, alcuni anni di remissione dei debiti a favore dei poveri e i dei diseredati. Dio infatti si prende cura dei diseredati, delle vedove e degli orfani; categorie, all’epoca, senza alcuna protezione, e li ascolta quando lo invocano. Dio sostiene il diritto dei poveri e lo fa proprio. Il libro del profeta Isaia proclama che nei giorni avvenire sarà restaurato il diritto dei poveri. Su questa linea Gesù annuncerà che Dio lo ha mandato ad portare una buona notizia ai poveri (Lc 4,18; Mt 11,5).
Il tema dei poveri è centrale anche nella prima lettura, silloge di due piccoli brani dal profeta Sofonia (2,3; 3,12-13), che si muove sullo sfondo di “quel Giorno”. Incombe infatti un giorno in cui le situazioni saranno capovolte: gli umili che hanno sopportato con costanza l’oppressione da parte dei potenti, senza venir meno ai comandi del Signore, troveranno riparo presso di Lui nel giorno dell’ira. Ci sarà infatti un giorno in cui gli uni e gli altri saranno chiamati a rispondere delle proprie scelte. Quei poveri dunque che Gesù dichiara beati sono coloro che non hanno altro appoggio se non Dio solo. Ma tutto questo ha senso solo per chi crede Dio non solo esistente, ma anche presente e attivo nella storia.