“Luce da Luce, Dio vero da Dio vero” è la professione di fede che rinnoviamo ogni domenica e che risplende nella notte di Pasqua, nella ricchezza della Lituriga e della Parola che la Chiesa ci propone. È la luce che splende nelle tenebre, è la luce che ha sconfitto le tenebre (Gv 1,5).
Le tenebre hanno tentato di avvolgere e di “inghiottire” la luce, così come un “buco nero” che inghiotte ogni cosa. Il buio, le tenebre, la morte hanno tentato di porre un limite alla Luce e alla Vita, dentro il freddo sepolcro di pietra. Ma il “macigno” della morte è stato ribaltato via dalla Luce, che ha ridato vita a un corpo. Il corpo di Gesù, segnato dal dolore e dalla sofferenza della croce, ricomposto dalla tenerezza di una madre e da alcune donne, ha ritrovato nel sepolcro un nuovo grembo da cui “ri-generare vita”.
Nella luce della Pasqua
Proprio perché “generato, non creato, della stessa sostanza del Padre” è egli stesso, Gesù, l’autore della vita. Quella luce divina, come rugiada, penetra nelle fenditure della pietra del sepolcro e illumina ciò che la morte avrebbe voluto spegnere.
Quella piccola luce è capace di sconfiggere l’abisso di oscurità della morte e la sua luce fa esplodere la vita. Per questo, la mattina di Pasqua, la pietra che aveva tentato di sigillare la vita nelle tenebre è stata rotolata via (Mc 16,3-4). E così da quel sepolcro, sigillato da una pietra, nel silenzio della notte, la vita rinnovata dalla croce muove i suoi primi passi.
La morte è stata vinta
La Parola germina dal silenzio, l’alba di un nuovo giorno annuncia che la morte non ha più l’ultima parola. Possiamo gridare con san Paolo: “La morte è stata inghiottita nella vittoria!”.
Possiamo “sbeffeggiare” il nemico sconfitto: “Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è o morte il tuo pungiglione?” (1 Cor 15,54-55). Ma la liturgia ci ricorda che è stata una vera battaglia: “Morte e vita si sono affrontate / in un prodigioso duello. / Il Signore della vita era morto; / ma ora, vivo, trionfa”.
Il “canto” della Sequenza pasquale
La Sequenza che ascolteremo prima dell’Alleluia nella domenica di Pasqua canta questa vittoria innalzando un inno di lode “all’Agnello che ha redento il suo gregge. / L’innocente ha riconciliato / noi peccatori con il Padre”. Con questa forma poetica il testo canta al Signore risorto, definendolo “la vittima pasquale”.
La seconda parte esprime il desiderio di ogni credente di conoscere dai testimoni della mattina di Pasqua cosa è successo, cosa hanno visto in quell’alba di futuro: “Raccontaci, Maria, / cosa hai visto sulla via?”.
La descrizione della tomba vuota, anziché desolazione, accende la speranza. La vista del sudario e delle bende, poste in modo ordinato, composte, come descrive l’evangelista Giovanni (Gv 20,5-7), rende la scena non un luogo di morte, ma un giaciglio su cui un corpo si è addormentato, riprendendo poi il suo cammino.
Le stesse parole della Sequenza confermano questa interpretazione. Maria infatti racconta che gli angeli, in qualità di testimoni, rimandano i discepoli a un altro luogo, l’incontro con il Cristo risorto, con il Vivente: “Cristo, mia speranza, vi precede in Galilea”.
Gesù è risorto!
Il testo riprende questa indicazione dal Vangelo di Marco proclamato nella notte di Pasqua. Gli angeli annunciano alle donne, giunte al sepolcro “di buon mattino” (Mc 16,1-2), che “Gesù Nazareno, il crocifisso, è risorto, non è qui” (v. 6).
L’angelo dice alle donne – e a tutti noi – che il Risorto ci attende in Galilea, lui è già lì. Aveva già dato questo appuntamento ai suoi, quando nell’Orto degli ulivi annunciava la tragedia imminente del suo arresto e della sua morte. Quest’annuncio di Pasqua riguarda soprattutto noi.
Noi che non abbiamo visto i lini e le bende, come Pietro e Giovanni, che non abbiamo visto la tomba vuota, che non abbiamo ascoltato le donne di ritorno dal sepolcro, ma possiamo ugualmente vedere e toccare il Risorto: “Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto” (Mc 16,7). Anche per noi c’è una “Galilea delle genti” che ci attende, là vedremo il Risorto.
E anche noi possiamo vederlo
La Galilea non è solo un luogo geografico, non è solo una provincia della Palestina, ma si identifica con la quotidianità della vita. Là dove a ogni credente è chiesto di annunciare la bellezza del Vangelo con la testimonianza della vita.
Facendo questo, vedremo le meraviglie che già il Risorto ha compiuto; infatti Lui sempre ci precede e ci attende. Là dove ogni credente porta la sua testimonianza, la Chiesa mostra il suo volto più bello e allarga i confini della sua presenza. È il volto della Chiesa del Concilio, è la Chiesa della Evangelii gaudium, che non si preoccupa di difendere le sue posizioni, ma cammina accanto all’umanità con umiltà e stile di servizio.