La prima lettura della sesta domenica di Pasqua comincia con un nome, Filippo. Non si tratta dell’apostolo, ma di uno di quei sette diaconi di cui abbiamo sentito domenica scorsa, incaricati di organizzare la distribuzione degli aiuti nella comunità. Oggi lo troviamo che evangelizza fuori di Gerusalemme, con enorme successo. Si narra dell’ascolto che riscuoteva in Samaria, delle guarigioni che avvenivano e della grande gioia che vi fu in quella città. E questo fu solo l’inizio.
Quando la notizia giunse a Gerusalemme, furono mandati gli apostoli Pietro e Giovanni a confermare, con il sigillo dello Spirito santo, quanto si era messo in movimento con la predicazione di Filippo. Era nata la prima Chiesa fuori di Gerusalemme. È quanto del resto avviene ancora oggi: i missionari, i catechisti annunciano la fede nella morte e risurrezione del Signore; alcuni ascoltano e s’interrogano: “Che cosa dobbiamo fare?”. Il predicatore risponde: “Convertitevi e fatevi battezzare”. Poi arriverà il vescovo che confermerà i fratelli.
Dopo il Salmo responsoriale, ascolteremo un brano da uno scritto di san Pietro. Se ascolteremo con attenzione, avvertiremo che sullo sfondo aleggia un clima persecutorio. Forse non si trattava ancora della persecuzione ufficiale da parte dell’autorità pubblica, ma piuttosto delle solite malignità della gente comune, che non tollerava che qualcuno vivesse in maniera diversa dalla massa. (Non c’è niente di nuovo sotto il sole!). Pietro prende occasione da questo per suggerire ai cristiani un comportamento positivo: “Pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi”. Subito dopo dirà che, a somiglianza di Gesù, è meglio soffrire facendo il bene piuttosto che il male; tuttavia è sempre necessario conoscerne il perché e saperne rendere ragione, “con dolcezza, rispetto e retta coscienza” (1 Pt 3,16).
Sarà un’occasione per rendere testimonianza alla verità e approfondire la propria consapevolezza. A questo punto non ci possono sfuggire un paio di domande: siamo consapevoli che il nostro essere cristiani è fondato sopra una grande speranza, che ci abita dai tempi del nostro battesimo? Siamo in grado di renderne conto di fronte a chi, in un modo a nell’altro, ce lo chiede? Il clima di persecuzione sorda, che si intravede nello scritto di Pietro, diventa assolutamente esplicita nel Vangelo. Siamo nell’ambito dei discorsi di addio di Gesù ai discepoli, spaventati al pensiero che dopo la sua partenza non avranno più sostegno. Gesù li rassicura, garantendo che “manderà un altro Paraclito”, un difensore, che non li lascerà mai più. Ma prima di andare avanti, ci dobbiamo chiarire il significato di due termini: Paràclito e mondo.
“Paràclito”: il termine, che non fa certamente parte del nostro linguaggio quotidiano, è un prestito dalla lingua greca, e ha valore di avvocato, difensore, e anche quello di consolatore. L’altra parola, che ci può confondere le idee è “mondo”, termine non certamente raro nel parlare di tutti i giorni, di cui non ignoriamo il significato. Nel contesto del Vangelo secondo Giovanni però designa quel sistema storico di cose che si oppone a Dio e contraddice, nel concreto, la parola di Gesù e di coloro che lo seguono. Riprendiamo. Anche dopo che Gesù sarà tornato presso il Padre, i discepoli non debbono avere paura; ci sarà infatti un altro Difensore, che sarà al tempo stesso il loro Consolatore. Gesù lo chiama “Spirito di verità”, perché si opporrà allo Spirito di menzogna, il Satana, di cui egli ha parlato altre volte.
Lui fu mentitore fin dall’inizio, quando convinse i nostri progenitori che Dio è colui che comprime la nostra libertà, le nostre aspirazioni ad una felicità illimitata. Dio invece è la Vita e vuole che noi possiamo vivere una vita pienamente umana e pienamente adulta. Ma rifiuta nello stesso tempo la menzogna sull’uomo e su Dio. Lo Spirito di verità sussurra nel più profondo di noi la verità sull’uomo e la verità su Dio. Certamente non tutto ci diverrà chiaro in un solo colpo. Poco a poco lo Spirito ci farà entrare nella verità tutta intera.
Il processo continua. E questo ci spinge ad essere veri dinnanzi a Dio e agli uomini, nostri fratelli. Certamente, se avremo interesse solo ad essere omologati al mondo, nessuno si accorgerà di noi, nessuno ci noterà e nessuno ci perseguiterà. Ma se la fede ci spingerà ad essere veri nelle parole e nei comportamenti, allora saremo percepiti come diversi. Il mondo non ama i diversi. Questo significano le parole di Gesù: “Non vi stupite se il mondo vi odia…”. Accanto a noi c’è il Difensore. Ci potranno sbeffeggiare, disprezzare, calunniare: il Difensore ci darà sempre sicurezza sufficiente, per proseguire verso la Novità che ci attende.