La scorsa domenica abbiamo incontrato Giovanni Battista, che predicava la conversione, percorrendo da cima a fondo la vallata del fiume Giordano. Oggi lo incontriamo di nuovo mentre personalizza le condizioni della conversione; poi, su richiesta, parlerà di se stesso, chiarendo a tutti di non essere il Messia. L’evangelista Luca introduce il racconto presentando le folle che chiedono quali cose debbano fare in vista della conversione, che il predicatore aveva richiesto con parole di fuoco (Lc 3,8).
Le risposte, molto concrete, fanno riferimento alle cose essenziali del vivere: cibo e vestito. Ai semplici popolani, che erano probabilmente anche buoni giudei, dice di essere attenti al loro prossimo, cedendo una tunica a chi ne era sprovvisto, se qualcuno ne avesse avute due, e lo stesso con il mangiare. Anche gli esattori delle tasse per conto dei Romani furono colpiti dal richiamo alla conversione. Anche loro erano giudei; ma erano considerati impuri e peccatori, soprattutto perché collaboravano con l’invasore; quindi esclusi da parte della gente per bene. Giovanni disse loro che la conversione cominciava da una cosa molto semplice e intuitiva: non esigere dalla gente nulla più di quanto era stabilito. Ascoltarono la predicazione anche dei soldati, che facevano parte di quell’esercito mercenario a servizio del tetrarca Erode Antipa, costituito da gente raccogliticcia e in gran parte probabilmente pagana.
Anche loro chiedevano che cosa fare. Molto semplice, diceva Giovanni, non fate violenza ad alcuno, non commettete soprusi e contentatevi dei vostri stipendi. Come si vede, a nessuno chiedeva di cambiare stato sociale e nemmeno di compiere particolari pratiche religiose; l’esattore rimaneva esattore, il soldato rimaneva soldato, ma nella giustizia e nella condivisione. Erano esortazioni valide non solo per il popolo dell’Alleanza, ma anche per chi non vi apparteneva. E sono valide anche per noi di oggi: la nostra conversione non può essere fatta di belle parole, di riunioni o di osservanze religiose, spesso in contraddizione con la vita di tutti i giorni. L’attenzione all’altro e la condivisione dei beni sono le condizioni imprescindibili per la conversione.
Nella seconda parte della lettura evangelica (Lc 3,15-17), Luca presenta la massa degli ascoltatori come un “popolo in attesa”. In attesa di chi? Di che cosa? Il momento storico era particolarmente pesante: le antiche libertà erano scomparse, le condizioni economiche erano disastrose; solo un inviato da Dio poteva risollevarne le sorti. Si domandavano pertanto se questo predicatore irruento fosse colui che Dio aveva promesso. Era lui l’Atteso dai Padri fin dall’antichità? Giovanni chiarisce una volta per tutte di non essere lui il Messia; è solo il “precursore”, ossia colui che “corre avanti” ad annunciarne la prossima comparsa.
Il suo battesimo era solo una preparazione a quello decisivo, che amministrerà il Messia. Il quale è presentato nelle vesti di un contadino che compie le ultime operazioni prima di immagazzinare il grano. Si trebbiava nel modo che consentiva la tecnologia di allora: quando nelle ore pomeridiane soffiava la brezza da ponente, si sollevava il mietuto con una larga pala di legno, in modo che il buon grano ricadeva giù, e la paglia era portata via dal vento; poi si raccoglieva e si bruciava. Il grano da immagazzinare simboleggia i frutti della conversione; la paglia, che il vento porta via, raffigura i riti, vuoti di contenuto, che non servono a nulla e che il tempo distruggerà.
La liturgia di questa terza domenica di Avvento si era aperta con un invito improvviso a gioire. La tradizione latina la chiama Dominica Gaudete. “Rallegratevi sempre nel Signore, ve lo ripeto rallegratevi: il Signore è vicino”. Sono parole che san Paolo scrive nella lettera ai cristiani della città greca di Filippi e che noi abbiamo ascoltato per esteso nella seconda lettura. La lettera fu scritta dalla prigione, dove l’apostolo era stato rinchiuso a causa della predicazione. Da lì dentro esorta ripetutamente alla gioia. Esortazione giustificata dalla vicinanza del Signore Gesù. Su questa certezza si radica l’annuncio cristiano: Dio non è una realtà lontana, come spesso si immagina; ma in Gesù Cristo si è fatto misteriosamente vicino alla vita, alle preoccupazioni, ai problemi, alle gioie di ognuno, pur rimanendo l’Onnipotente, Creatore di tutte le cose “visibili e invisibili”.
L’esortazione di Paolo continua e si approfondisce: “Non angustiatevi per nulla…”. Spesso ci logoriamo la vita caricandoci dei fardelli del domani, su cui non abbiamo alcun potere. C’è anche una parola di Gesù in proposito: “Non vi affannate per il domani; il domani avrà già i suoi affanni. A ogni giorno è sufficiente il suo malanno” (Mt 6,34). Paolo dà poi la chiave per vivere nella tranquillità e nella pace: “In ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti”.