Europee 2019. Dopo il voto finiranno gli slogan?

di Daris Giancarlini

A maggio prossimo le elezioni europee: segneranno la fine della propaganda e il ritorno alla politica, quella che propone ricette per risolvere problemi? È auspicabile, perchè non se ne può più.

Non si possono sostenere oltre slogan trancianti (“non arretriamo di un millimetro”, “non si cambia di una virgola”, “me ne frego”, fino al più recente “marcisca in galera”) e comportamenti da rivoltosi in pantofole di chi, facendo finta di non essere al governo di uno dei paesi più importanti d’Europa, da capo politico di un movimento, garantisce appoggio politico e mediatico ai Gilet gialli francesi.

Sarebbe ora di smettere di pensare solamente a fare propaganda, perchè i problemi, quelli veri e dalle conseguenze drammatiche, non aspettano la fine della campagna elettorale per manifestarsi in tutta la loro drammaticità.

L’occupazione in Italia non riprende, il ministro dell’Economia chiama ‘stagnazione’ quella che è già vera recessione economica, le ricette messe in campo dal governo giallo-verde – a detta di chi sa di economia – spingono più sul tasto dell’assistenzialismo che su quello dello sviluppo. Forse – anche qui – perchè ‘assistere’ paga di più, dal punto di vista del ritorno in consensi, che progettare crescita.

Su questo punto, si apre una riflessione che va dritta al corpo sociale di un Paese come l’Italia, da sempre afflitto da patologie divisionistiche e mai completamente assurto a livello di nazione coesa e dagli intenti condivisi. La riflessione riguarda l’incapacità delle classi politiche, tutte, degli ultimi decenni di attuare strategie che avessero nell’aumento della coesione sociale il loro obiettivo principale.

Non tutti coloro che erano in difficoltà usufruirono degli 80 euro del governo Renzi, non tutti quelli che ne avrebbero effettivamente bisogno avranno il reddito di cittadinanza. Che è una misura, quest’ultima, indirizzata soprattutto ai senza lavoro del Meridione (come ha dimostrato il largo consenso del Sud ai Cinquestelle): servirà, a questa zona del Paese, a fare anche un mezzo passo verso la parte più sviluppata della Penisola?

Un Nord Italia che, a sua volta, stando agli ultimi sondaggi, non sembra digerire forme di aiuto che assomigliano tanto a quell’assistenzialismo improduttivo così inviso al Settentrione, motore economico del Paese.

Verranno le elezioni europee, dunque, e dopo il voto i problemi si conclameranno in tutta la loro drammaticità, economica e sociale. Allora le promesse di chi, con quelle promesse, ha vinto le elezioni politiche, si sbricioleranno contro la rabbia di chi aveva sperato in quel cambiamento che, per il momento, resta solo uno slogan. Anche perchè fra sei mesi non si potrà più dire “è colpa di quelli che c’erano prima”.