Nei suoi interventi dell’ultimo periodo il Papa è ritornato a parlare dell’Europa. Lo ha fatto all’Angelus domenicale, per otto volte consecutive in modo rapido e accorato, più come augurio, richiesta, auspicio, invocazione che sulla base di ragionate spiegazioni. Queste le ha date in altre occasioni soprattutto nell’esortazione ‘Ecclesia in Europa’. La circostanza in cui tutto ciò si situa è il traguardo prossimo, entro il 2003, del varo della Costituzione europea, alla stesura della quale sta lavorando dal febbraio 2002 una Convenzione di cui è presidente Giscard D’Estaing. Dalla bozza dei primi 16 articoli, finora conosciuta, è saltato agli occhi di molti, soprattutto cattolici, l’ assenza di qualsiasi riferimento alle ‘radici cristiane dell’Europa’. La rivendicazione subito espressa da parte di studiosi, politici, autorità ecclesiastiche cattoliche e movimenti ecclesiali di una citazione esplicita del riferimento al cristianesimo ha suscitato un vivace dibattito che non accenna a sopirsi. Da qui la nostra proposta di approfondire la questione, non tanto per determinare degli schieramenti, quanto perché sono convinto che tale riflessione serva a maturare una coscienza civile e un consapevole inserimento culturale nella storia contemporanea. Già in passato le posizioni ideali e politiche si sono spesso confrontate con la valutazione dei secoli precedenti (la valutazione del Medioevo, della Riforma, della Rivoluzione francese, ad esempio) così oggi una valutazione del rapporto tra cultura europea e cristianesimo può servire per riscoprire un’identità morale e una qualità dello spirito, fosse pure smarrita o rifiutata. Ciò fa capire come coloro che rivendicano all’Europa una matrice culturale cristiana non intendano fare una questione puramente storica, né di bandiera. Tanto meno intendono accampare privilegi o costituirsi dei percorsi giuridici o politici facilitati. La Chiesa, meglio ancora sarebbe da dire le Chiese e comunità cristiane occidentali, hanno da tempo sottoscritto documenti solenni sulla libertà di religione e di coscienza e sulla distinzione tra potere laico ed ecclesiastico e sanno di vivere e proporre la fede in un contesto pluralistico. Ma ribadiscono anche il diritto che, dopo aver dato a Cesare quello che è di Cesare, non sia negato ai credenti di dare a Dio quello che è di Dio. Si è detto che tutto ciò sia garantito nel preambolo e nei singoli articoli preparati dalla Convenzione in cui si parla di dignità umana, di libertà, di solidarietà di centralità della persona umana e pertanto di valori che sono alla base di una visione cristiana della società e comunque di una Costituzione democratica della società e dello Stato. L’aggiunta delle ‘radici cristiane’ pertanto sarebbe pleonastica. Ma, forse, a mio avviso, ritornando all’immagine della ‘sinfonia di Nazioni’, il riferimento alle radici è come una chiave di lettura della musica nella quale tutti suonano e cantano i loro singoli spartiti tenendo presente l’armonia di fondo del tutto. Lo stesso pluralismo culturale ha una chiave di lettura cristiana e una lontana radice biblica anche se rimasta a lungo sepolta sotto la sabbia. Citando Giovanni Paolo II si può affermare che un tale riferimento ‘non toglierà nulla alla giusta laicità delle strutture politiche, ma al contrario, aiuterà a preservare il Continente dal duplice rischio del laicismo ideologico, da una parte, e dell’integralismo settario, dall’altra. Uniti sui valori e memori del proprio passato, i popoli europei potranno svolgere appieno il loro ruolo nella promozione della giustizia e della pace nel mondo intero’ (O.R.16-17 febb,2003).
Europa ‘sinfonia di nazioni’
Apriamo un dibattito sulle 'radici cristiane' dell'Europa
AUTORE:
Elio Bromuri